La “Becca”, salita verso il mio orizzonte. Aosta-Becca di Nona 2016.
Sembrerà uno scenario da Heidi, Zio Tom, Candy Candy e i puffi, forse non ci crederete, ma vi assicuro che se aprite per 18 anni consecutivi le finestre e vedete sempre e solo lo stesso panorama, in qualche modo la forma di quelle linee fa sì che il vostro modo di vedere le cose cambi.
Avete presente quando guardate la luce direttamente, che per un po’ vedete il resto del mondo a lucine? Come se l’immagine della luce vi fosse rimasta dentro agli occhi.
Ecco, se per una vita apri la finestra e vedi sempre lo stesso orizzonte, quell’immagine ti rimane impressa negli occhi come le luci, e finisce che vedi il mondo attraverso quella finestra.
Io per 18 anni ho aperto la finestra e ho visto due grandi piramidi di roccia. Imponenti, all’apparenza inaccessibili, aguzze, grigie d’estate e venate di bianco d’inverno. Il sole sorge e tramonta su quelle cime se sei nato ad Aosta.
Se sei di Aosta, il tuo orizzonte è quello. Come due seni di madre, solo taglienti, tetri, oscuri.
Se sei di Aosta, o le odi, o vuoi salirci.
Io voglio salirci. L’ho sempre voluto.
E ora, dopo 15 anni da Torinese, apro ancora la finestra e penso di vederle davanti a me.
C’è una gara, storica, che sfida quelle vette, o meglio una, la più bassa, la Becca di Nona. Parti da Piazza Chanoux, il “salotto” della mia città e sali, senza soluzione di continuità, finchè non arrivi in vetta.
A questa gara partecipano i “nostri” eroi, quelli che non hanno scarpe tecniche e sponsor roboanti, quelli che non vanno dal massaggiatore, quelli che non hanno un GPS, quelli come Bruno Brunod: mani da muratore e gambe da camoscio. “Sai che Brunod mangia 4mila calorie al giorno quando si allena per la Becca?” – “Si dice che quando arrivano su nemmeno bevano che subito scendono” – “Per andare così si allenano la notte e alle volte incontrano i cinghiali…”
Il Mito… Noi, ragazzini, guardavamo il mito.
Poi un giorno è arrivato Kilian e ha vinto. E poi… Poi non si è fatta più. “Investiamo su qualcosa di più turistico”. Mi chiedo sempre cosa ci sia di più turistico delle vere tradizioni…
Fino a quest’anno, quando un manipolo di ragazzi che non hanno nemmeno 30 anni ci ha riprovato, affinchè il Mito non morisse.
Ed è grazie alla loro voglia di battersi per le “piccole” cose che, mio malgrado, mi sono iscritta anche io.
In partenza 500 concorrenti, chi più tecnico, chi travestito da sportivo, chi senza niente, manco una borraccia.
Poi io, con Denis (www.roadtocervino.it) che da alpinista si è mascherato da runner per lo stesso motivo per cui io da podista ho cercato di assomigliare ad una sky racer: l’amore per questa terra.
Guardare la cima dalla piazza di Aosta fa paura: 2550 metri di dislivello non sono il mio pane quotidiano… Io corro al “Vale”…
Denis parte bene, io no, mi tengo, ho paura e non so come fare a farmela passare. Mi sento “ammalata di terrore”.
La prima parte nel bosco sembra non finire mai, fa caldo, patisco, ma non faccio fatica, non troppa. Così la mente inizia a rilassarsi. Riprendo Denis.
Passiamo il primo ristoro, poi arriviamo sul ru e finalmente si corre un po’. I “Ru” sono canali irrigui tipici della valle. Sono stati costruiti tra il 1200 e il 1400 e portano l’acqua per l’agricoltura. I terreni qui sono troppo pendenti per trattenere acqua e senza canali non sarebbero così fertili…
Il sentiero che lo fiancheggia è piano, bello, corribile, fresco. Sto bene, mi godo il momento.
Arriviamo alla carrareccia e siamo all’alpe di Comboè, dopo 1550 metri di dislivello. Comboè è uno degli alpeggi più belli della Valle, forse del mondo. Sembra finto. Fosse un quadro sarebbe: “mucche in una conca vista Cervino”. Poi prati di fiori, un alpeggio ristrutturato, una piccola colonia di tempi passati, il laghetto, il sole… E 1000 metri sopra, in verticale, la Becca.
Una ragazza fa il tifo agitando un campanaccio. Un piccolo gruppo suona musica locale.
Vorrei ballare, ma corro.
Il sentiero si fa difficile, pesante. Davanti a me molti cominciano a lottare contro i crampi, incespicano, rallentano e li supero.
Paradossalmente, i miei muscoli sono sempre più brillanti. Non ho fame, non sono stanca, quasi non sudo più. Arrivo al Bivacco Federico che ho passato molti uomini ben più muscolosi di me. Sorrido e non sento altro che l’aria pulita.
Arrivo in vetta in 3 ore e 29 minuti. Pensavo di metterne almeno quattro.
Mi rilasso, faccio foto.
Un ragazzo indica il Monte Bianco e mi chiede se è il Gran Paradiso, gli rispondo che no, è il Gran Combin. Deve essere l’altitudine… Rido di me stessa, mi godo il panorama e mi sdraio appena sotto aspettando Denis.
Scopro che non è stato bene e ha desistito. Mi sento quasi in colpa: senza di lui io non sarei salita. Eppure la montagna insegna che non vinciamo sempre noi.
Scendo e lo ritrovo a Comboè, dove si fa un po’ di festa con boudin e vino rosso. Nelle orecchie la musica del gruppo che suona fisarmonica e tamburelli, nel cuore solo molto amore per la mia terra e molta gratitudine per le mie gambe.
Ora, forse, sono di nuovo pronta per la Maratona.
La Maratona si corre solo se si ha il cuore felice.