A cuor leggero: Aosta-Becca di Nona 2018 – Le Emozioni
L’Aosta-Becca di Nona merita, per la prima volta nella storia del mio blog, due articoli.
Il primo tecnico (leggilo qui), ma il secondo, questo… beh, nel secondo ci devo mettere me stessa.
Io questa gara non volevo più farla.
Quando ho detto di sì a Laurent Chuc (uno degli organizzatori), dovevo ancora correre Boston. Non mi ero ancora infortunata. Pensavo ancora all’estate come al momento di scarico completo, per cui, una “semplice” martze a pià da 2.500 metri di dislivello mi pareva un modo per passare una domenica lontana dallo spirito competitivo e dal cronometro.
Poi le cose sono cambiate.
La mia Maratona di Boston, pur essendo stata una delle esperienze più fighe di tutta la vita intera, non è andata come avrei voluto (e se devo dirvi la verità, tra le giornate più belle della mia vita, nessuna è andata come avrei voluto e chi deve capire capisca). L’infortunio, il maltempo, la mancanza dei miei amati allenamenti lunghi, quelle 3 ore e 19 minuti che mi hanno eleta a “prima italiana a Boston” senza però ammansire il cane che ho dentro, quello dell’orgoglio.
Insomma, mi sono iscritta alla Maratona di Berlino di settembre e ora sono in piena preparazione. Siamo io, il Garmin, la strada, le ripetute e i lunghi.
Diciamo che sono nel momento più bello per un maratoneta: le prime prove sulle distanze lunghe.
Ecco che una sfacchinata fin su alla Becca di Nona si trasforma da sogno firmato Heidi in preoccupazione pura.
Venerdì avevo fatto il primo 32km (andato da urlo), un tendine dolorante, la montagna che rallenta, 3 ore e mezza di fatica…
Insomma, tremavo di paura alla partenza.
Solo che non potevo dire di no. Vuoi perchè chi organizza sono dei ragazzi stupendi e con tanta voglia di fare, vuoi perchè è LA MIA CITTA’. Anzi, soprattutto perchè è la mia città.
In tanti anni a Torino non sono ancora riuscita a considerarmi torinese. La mia città è Aosta e lo sarà sempre. E questa è la sua gara, quella di quando ero bambina. Non posso, non posso, non posso perderla.
E quindi eccomi lì, tremante e ancora dolorante dal lungo.
Eppure felice.
Prima della partenza di una gara mi concentro sempre. Parlo poco con gli altri e tanto con me stessa. In quel momento inizio a parlare con il mio corpo contratto e lo sciolgo, ma quando arrivo al cuore mi stupisco di trovarlo così gioioso.
Sono felice, niente da fare. Sopra ogni altra emozione, sopra la paura, sono felice.
Guardo la vetta e la sua madonnina scintillante, che si vede a tratti se si osserva bene. Sono lì, sola e sono felice. Mischiati nella folla ci sono cinque o sei amici che fino a qualche mese prima conoscevo appena e che ora mi rendono serena e leggera. C’è “il Luca della Karen” che è esagitato e si vede che vuole tirare, c’è il suo amico Emiliano che ho appena conosciuto, che parla forte e ride tanto, c’è Francesca, che sto seguendo per la sua ripresa nel mondo della corsa e che si è iscritta a questa follia per puro piacere, c’è Camilla che non ho ancora visto che nei suoi 23 anni sorride sempre, c’è Francesco, che solo a vederlo a me viene il buonumore.
Poi ci sono alcuni che conosco da tempo immemore e che forse non riconoscerei, c’è Dante con cui sono uscita forse due volte al liceo e che mia veva spezzato il cuore, e poi vedo René Cuneaz che fa la camminata enogastronomica.
Nella stessa piazza, la stessa dei miei sabati pomeriggio di vent’anni fa, ecco la mia vita tra passato e presente (e spero futuro) che va in scena in pochi istanti prima dello start.
C’è mio papà che è più agitato di me e che mi ha accompagnata perchè i papà per le figlie hanno un amore incondizionato. Lo vedo alla partenza. E’ così agitato che sta fotografando un’altra concorrente vestita nei miei stessi colori. Mi fa tenerezza e mi riempie il cuore di amore.
Poi so che a casa c’è mamma che mi pensa. Lei si che ha paura quando faccio queste cose.
Questi giorni qui sono stati così sereni che mi è parso di non meritarmeli.
In mezzo a questi pensieri, felici e romantici inizio a correre.
Il tendine non si sente, è ovattato dalla serenità. Il cuore è così leggero che me ne frego se mi superano.
Vedo Karen al primo ristoro. E’ con la sua piccola Stella. Mi fermo un secondo. Sono così belle, sono qui a vedere “il Luca” che sta volando verso la vetta.
La verità è che oggi mi sento amata.
Non voglio essere patetica, ma non è scontato sentirsi amati. Non mi capitava da un po’ di averne la sensazione netta come ora.
Il percorso della gara lo trovate nell’articolo “tecnico”. Voglio concentrarmi sulle sensazioni.
Io non so una da Skyrunning. Io macino i chilometri piani, non quelli verticali. Questa non è la mia gara. Ma questa è la mia terra. Lo so che non scorre nelle mie vene un solo grammo di valdostanità pura, ma sono nata qui e le mie radici sono qui.
Quando arriviamo alla parete sotto la vetta esplodo di gioia. Di fianco a me i concorrenti, stremati, rallentano, mentre io mi sento sempre più leggera.
Arrivo alla Madonnina in vetta che non sono neanche stanca. Sono troppo felice per essere stanca.
Sono a casa, qui, a 3.142 metri, sono a casa. Guardo giù e vedo il rosa della casa dei miei genitori, lì, abbarbicata sulla collina di Aosta.
Non mi sento sola nemmeno un po’. Forse grazie a Francesco che mi abbraccia anche se probabilmente so di sudore misto al profumo di mamma nel quale mi sono avvolta prima di partire.
Mi sento benissimo ad essere me stessa.
E ora posso volare verso la mia Berlin Marathon con il cuore leggero.