Questa è la storia di Francesca, una Principessa che ama la fatica
Conosco Francesca da tanti, tantissimi anni. Dal liceo direi, forse pure prima.
Me la ricordo perchè era in qualche modo simile a me: stessi colori scuri, stessa (non) altezza. stesso corpo minuto e morbido.
Stessa testa dura. Stessa voglia di sorridere.
Quando, all’università, i compagni mi dissero che Francesca aveva scritto un libro (lo trovi qui), non mi stupii per niente. “Che cavolo di palle quadrate ha questa ragazza!” (non ho detto CAVOLO)
Dopo questa notizia, di Francesca persi le tracce.
Alcuni amici comuni mi dicevano averla vista, altri che qualcosa scriveva ancora.
Ma di Francesca più nulla.
Poi, un giorno, tra i diversi follower del blog comparve una certa “Orlanda Furiosa”.
Pensai fosse una di quelle donne arrabbiate con la vita, ma ironiche.
Mi chiedeva di allenarla. A distanza. Dissi di no, così lo chiese al mio ex socio, che con il suo celebre tatto mi rimbalzò la palla.
Continuai a rifiutare. Per prima cosa perchè mancavo di esperienza e seconda cosa perchè non credo nell’allenamento a distanza.
In “Orlanda” vedevo una me più giovane e fragile, ma non riuscivo ad inquadrarla del tutto.
C’è una categoria di persone che spesso mi contatta per essere “allenata”, ma in realtà mi usa da alibi. Li riconosci perchè partono dai problemi e non dalla ricerca delle soluzioni “non riesco a correre perchè ho questo, ho provato con altri, ma non sono riusciti, mi hanno detto che non potrò mai…”
Orlanda mi parlò di faringiti croniche, di un incidente invalidante, di periostiti frequenti.
Orlanda era Francesca.
Malgrado la conoscenza decennale rifiutai. Non era pronta lei e non ero pronta io.
Poi sono passati i mesi, forse più di un anno e io sono cambiata. Ho maturato esperienza, ho acquisito indipendenza ed energia. Così, quando questa primavera Francesca mi ha chiesto nuovamente una mano, ho accettato.
I primi due mesi è stata dura, per entrambe. Le ho proposto un piano molto dolce di ingresso alla corsa, partendo dalla camminata, per arrivare ai suoi primi 30′ di corsa. lei mi faceva dei report incredibili, evidenziando ogni singolo momento di sconforto.
Una volta avrei mollato io. Ora invece ho usato la mia energia per prendere i suoi problemi e restituirle delle soluzioni.
Ho ascoltato e ascoltato, alle volte sono stata dura, onesta, ma lei non ha desistito. Piano piano sono passati i mesi e Francesca ha iniziato la sua battaglia con il nemico: la fatica.
E ha vinto.
Il 30 settembre ha corso la sua prima Mezza ad Aosta.
In questi mesi mi ha scritto diverse mail e io non le ho mai pubblicate. Aspettavo questo momento per celebrare la sua storia.
Brava Francesca, no excuses!
1 agosto 2018, Aosta
Domani sono quattro mesi che corro. Il due aprile, il giorno di Pasquetta, ho re-infilato le mie scarpe da corsa. Però più che riprendere a correre, ho proprio iniziato. Non è stato un ritorno, ma un cominciamento…
Avevo dodici o tredici anni quando mi diagnosticarono una faringite cronica. Mi vietarono di correre. Per me allora la corsa era poca cosa: qualche tiro a pallone con gli amici al campetto del quartiere, saltelli vivaci per i sentieri di montagna in discesa, i giri di riscaldamento intorno al campo di pallavolo nell’ora di educazione fisica. Tuttavia ascoltai i medici, smisi di fare quel poco che per me equivaleva alla corsa.
Circa dieci anni dopo, alcuni amici laureandi in medicina e un fidanzato coach di canottaggio, mi riabilitarono alla corsa. Mi dissero che no, che non c’erano impedimenti o rischi, che avrei potuto correre. E provai. All’inizio seguendo quel fidanzato, dietro di lui e con le sue indicazioni. E poi da sola.
Correvo così, per puro piacere, al ritmo dei pensieri e delle sensazioni, senza obiettivi né ambizioni, persino senza orologio. Di “giusto” avevo solo le scarpe. Sceglievo che percorso fare, e via… Mi fermavo quando finiva il sentiero o quando mi sentivo stanca. Guardavo l’ora prima di chiudere la porta di casa e dopo averla riaperta al ritorno.
Negli anni ho poi comprato un orologio e un minimo di abbigliamento adatto, mi sono fissata qualche obiettivo di miglioramento, ho cercato di seguire consigli di amici più esperti. Ho smesso e poi ricominciato, tante volte. Sono stata sempre incostante, ho corso sempre a intermittenza, assecondando l’umore e la voglia e gli eventi.
La mia era una corsa “senza”: senza disciplina, senza impegno, senza fatica, senza aspettative, senza consapevolezza. Una specie di flirt.
Finché qualche anno fa (era il 2015), quando mi sono ri-trasferita a Pavia, un amico mi ha consigliato di contattare un gruppo che si allena sulle colline dell’Oltrepo Pavese. Così ho approcciato il trail running, ho scoperto luoghi verdi e incantati, e ho incontrato qualche bella persona. Dopo poco ho capito che non potevo improvvisare e ho cercato un allenatore. Mi sono dotata di una fascia cardio e nell’estate ho iniziato a seguire una tabella. Ho inaugurato una corsa diversa, fatta di ripetute e fartlek e salite, di costanza, di impegno e fatica. Una corsa “seria”, tutta rigore e disciplina. Una corsa ancora, seppure in modo diverso, priva di consapevolezza. Una specie di contratto.
In autunno mi sono infortunata. Poi ci sono stati un intervento di meniscectomia, un altro intervento, e un’infiammazione recidiva ai tibiali. Sono passati così trenta mesi, trascorsi più a curarmi e a riposare che a correre. E ogni volta ricominciare diventava più faticoso e più frustrante…
Ma a Pasquetta ho rimesso ai piedi le scarpe da corsa e da allora non le ho ancora smesse. Per uscire dal girotondo dei “riprova”–“sei infiammata, fermati”–“stai bene, riprova”–“fermati”, mi sono rivolta a Carlotta. Mi sono affidata a lei. Carlotta che siamo nate e cresciute nella stessa città e abbiamo fatto lo stesso liceo, e che da anni seguo sul blog, ma che non conosco. Carlotta con la sua precisione e il suo disordine, con la sua severità un po’ materna, con la sua schiettezza e la sua ironia. Carlotta un po’ brusca e molto accogliente, che mi sta facendo capire che il piacere di correre è solo mezza gioia senza il coraggio.
Quella di adesso è una corsa nuova, che chiede impegno senza scuse ma senza troppo rigore, che vuole fatica ma sa divertire, che ha un obiettivo (una gara!) ma senza prendersi sul serio. Una corsa allegra. Una specie di viaggio.
Domani sono quattro mesi che corro. E ne sono felice.
1 ottobre 2018, Aosta
E oggi sono passati sei mesi da quel primo allenamento.
È il mio record personale: non era ancora mai capitato che corressi per sei mesi consecutivi. Ma soprattutto non era mai capitato che mi allenassi per un periodo così lungo. (Sai che per me “correre” e “allenarsi” hanno iniziato a coincidere solo negli ultimi anni.)
E che mi allenassi così – con questa frequenza, con questa costanza, con questa voglia.
Sono contenta di quello che abbiamo costruito in questa metà d’anno. Sono contenta di essermi appassionata e di voler continuare, di voler (cercare di) migliorare. Anche se la corsa non è il mio sport, né lo sarà mai.
Domenica ho capito due cose e voglio condividerle con te.
La prima è che voglio correre su strada. Perché mi piace correre, e in montagna posso farlo solo a tratti e comunque ci riesco male. Amo la montagna, ma lì voglio fare un altro tipo di fatica. Vanno bene i sentieri per fare un diversivo ogni tanto o per accompagnare Mirko nelle sue gare. Vanno bene come allenamento o come variazione sul tema. Ma non è quello che mi interessa. A me piace correre dove posso fare chilometri con me stessa, guardando dentro, non intorno.
La seconda è che la fatica inizia a piacermi.
Sono arrivata all’arco d’Augusto delusa, nervosa, contrariata, insoddisfatta. Non per quei due minuti in più. Ma perché non ero stanca. Volevo arrivare al traguardo sudata, affaticata, distrutta. Mi sono allenata per questo. Per dare tutto, o quasi tutto. Invece no. Sono arrivata dolorante, ma avrei avuto energia e fiato e gambe e testa per continuare, per fare ancora chilometri. Sono arrivata con il cuore basso, con la pelle quasi asciutta, con i muscoli ancora allegri.
I primi 10 km sono stati splendidi. Avevo fastidio ma non dolore, mi sono lasciata tirare da Mirko, ho fatto il giusto grado di fatica, una fatica maggiore di quella degli allenamenti ma che avrei potuto sostenere per tutta la gara. Ed era bellissimo. (Ho guardato pochissimo l’orologio e ho visto a casa che infatti ho corso a 5.40.) Poi a un certo punto, all’improvviso, tra il 12esimo e il 13esimo chilometro, il ginocchio ha iniziato a fare male sul serio. Ogni passo era una sofferenza. E ho rallentato. Ma poco dopo è iniziato il tratto sulla ciclabile, quei fottuti lievi sali/scendi, e il dolore è aumentato. Per sopportarlo, per non fermarmi, per continuare, ho pensato a te. E poi all’estate di allenamenti, con poca montagna, con poco vino. E poi a me, e a quanto avevo desiderato quella gara. E ho corso i sette chilometri più difficili della mia vita, lottando contro il dolore, concentrandomi sul resto del corpo e sul respiro, un po’ incazzandomi, un po’ ridendo, un po’ ringraziando di poter comunque correre. Ho fatto una dannata fatica. Ma non era la fatica che avrei voluto fare.
Non importa. Ovviamente non importa. Farò pace con il ginocchio, farò pace con la mia gamba più debole. Ci saranno altre gare. Così come ci saranno altri infortuni. Quello che conta, per me, è l’aver aspettato la fatica, l’aver desiderato la fatica.
E di questo ti ringrazio. Di essere riuscita – non so come – ad allenare la mia voglia di fatica.