Aria di Marocco. Un giorno a Fez.
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Non sono una da offerte, da saldi, da ricerca dell’affare e solitamente non apro mai le mail di questo tipo. Ma era tempo che avrei voluto visitare il Marocco e avevo tempo.
Sono bastate un paio di telefonate e il gruppetto si è costruito, eterogeneo e non ragionato, ma i viaggi migliori si decidono così, senza meditare.
Per scegliere un viaggio io, come molti altri runner, scelgo il periodo e il luogo in base agli allenamenti. Giusto o sbagliato che sia, se so che è un periodo di carico difficilmente mi oriento verso mete dove non so quanto correre sia possibile e il Marocco è una di quelle.
Ma questo è periodo di scarico e relax e un viaggio lento, fatto di curiosità e tempo per osservare i dettagli, fa al caso mio.
Fez
Io sono un’ignorante in geografia e se mi aveste chiesto dove fosse Fez prima d’ora avrei vacillato. Del Marocco avevo sentito parlare di Marrakesh – ovviamente – di Essaouira, di Casablanca, di Rabat dai libri di geo delle scuole medie.
Fez invece mi era ignota, ma in fondo meglio ancora.
Fez (o Fes) invece è una città importantissima, la più antica delle città imperiali del Marocco. Il suo centro storico è considerato uno dei più affascinanti e la sua tradizione culturale detiene il primato dello stato, essendo che a Fez è stata fondata la prima università del mondo islamico.
Se vi immaginate il Marocco caldo e desertico, non avete una visione corretta di questa regione. Fez si trova a 350 metri sul livello del mare ed è al fondo di una vallata verdeggiante, incorniciata da montagne e colline, tra cui l’immagine dell’Atlante imbiancato all’orizzonte mi fa sognare.
La città vecchia, la Medina, è un luogo incredibile.
Il nostro Rijad, Dar Attajalli, si trova in piena Medina, in una via stretta e oscura. Arriviamo in taxi alle porte della città, le cui vie strettissime sono attraversabili a piedi. I trasporti sono all’antica: possiamo scegliere tra un mulo e un ricurvo marocchino che di mestiere fa il trasportatore via terra grazie al suo carretto foderato di plastica blu.
Scendiamo dal taxi e veniamo invasi dall’aria del passato. Curva dopo curva, si dipana il labirinto di vie in salita e discesa della Medina. Un formicaio abitato da donne rotonde, bambini urlanti, gatti randagi e uomini che commerciano in qualcosa di intangibile che odora di turismo e povertà.
L’immagine è forte, dall’aeroporto a qui. Paghiamo il nostro trasportatore su ruote e braccia e veniamo depositati di fronte ad una porta bugnata, scura e antica, che d’un tratto si apre su una corte di piastrelle e disegni damascati, cuscini e luce, fontane e profumo di spezie.
Il Rijad Dar Attajalli fa esplodere la sua vista dietro al buio della via in cui si trova, dischiude la sua immagine di luce in una bomba di bellezza.
Dietro ad ogni porta della Medina di fez i palazzi nascondono le loro bellezze come donne velate di nero. Non potresti aspettarti un’immagine così graziosa, incorniciata di così tanta oscurità, eppure le immagini si susseguono come in un sogno.
Prima corsa a Fez.
La mattina il desiderio di guardare il sorgere del sole sulla città vecchia mi fa venir voglia di correre. Dicono che dalla parte alta la vista sia incantevole all’alba.
Usciamo verso le otto del mattino e la città è avvolta dalla nebbia. Sono poche le persone in giro a quest’ora. I Marocchini non paiono un popolo mattiniero, in effetti. I ragazzini stanno appena uscendo dalle case, la scuola inizia tardi. Quando passiamo, al piccolo trotto, ridono e applaudono.
Non mi pare che qui siano abituati a correre la mattina o a vedere persone che corrono senza meta. Io, che adoro visitare le città correndo, decido di prendere la strada principale, una specie di circonvallazione che cinge la città vecchia.
Ad un certo punto, per salire sulla rocca, saliamo per uno stradone che taglia la collina attraversando distese di lapidi e piccoli appezzamenti di terra coltivata. Ci superano diversi pulmini e camioncini che trasportano gruppi di persone, penso dei lavoratori, che ci guardano straniti. Effettivamente non è la strada più caratteristica per correre, ma sono da sempre dell’idea che i luoghi vadano visti da diverse prospettive e questa è la prospettiva meno turistica.
Arrivati sulla rocca la vista è lattiginosa di nebbia. La vecchia Qasbah oggi è divisa tra ospedale e liceo e brulica oramai di studenti. Guardo i ragazzi e penso a quanto siano simili ai ragazzi italiani. Forse non nell’abbigliamento, ma le ragazzine parlano tra di loro, i ragazzi le guardano, qualcuno fa qualche smorfia per atteggiarsi e tutti ridono. Il bidello fa entrare tutti con un sorriso.
Penso che facciamo di tutto per differenziarci, ma che poi, in fondo, siamo tutti esseri umani identici nel profondo.
Riscendiamo nella città entrando nelle mura. La porta Bab Makina ci fa accedere alla Medina. Sui merli in cima alle torri decine di cicogne hanno fatto il nido.
Attraversiamo i meravigliosi giardini Jnane Sbile dai disegni orientali, attraversati da corsi d’acqua, fontane e laghi e rientriamo nei mercati della Medina.
Solo sette chilometri, lenti e gentili, ci hanno dato il primo assaggio di Fez.
Tour della Medina “Fes El Bali”
Per visitare il centro storico di Fez vi consiglio di prendere una guida del posto. Potete anche girare da soli, ma rischiereste di perdervi e di perdere molti dettagli di questa strabiliante città. Le vie della Medina sono strettissime e tortuose, raramente hanno un nome e della mappa capireste poco o nulla. Anche mostrandola ai locali fareste fatica, perchè nemmeno loro sanno leggerla correttamente. Nella maggior parte dei casi vi guarderanno con aria interrogativa: la mappa turistica non è un concetto che appartiene loro.
Chiedete al vostro hotel o rijad per avere una guida. Le guide ufficiali hanno un tariffario standard assolutamente abbordabile e conoscono ogni singolo anfratto della città.
Non seguite chi vi abborda sulla strada. Molti abitanti si improvvisano guide puntando all’ignoranza del turista e chiedendo mance non conformi al costo della guida e portandovi dove decidono loro.
Inoltre, se sapete dove andare (dopo un paio di giorni vi orienterete abbastanza bene), in molti insisteranno nel farvi cambaire strada dicendovi che la strada che state imboccando è chiusa “closed, closed madame!”.
Beh, non è vero. Alcune volte sì, ma la maggior parte delle volte vogliono indirizzarvi altrove, magari nel negozio amico, o al ristorante della famiglia.
Una guida resta il deterrente migliore. Risparmierete tempo e potrete godere della città senza pensieri.
La nostra guida si chiama Farid.
Farid è un uomo alto e magro, elegante e gentile. Per otto lunghe ore ci porta in giro per Fez.
Visitiamo la conceria, la cooperativa dei tappeti, la Madrasa Al Attrine – la scuola coranica – vediamo la Moschea grande, la Zaouia de Moulay Idriss.
Rimango affascinata dalla religione.
Sono sempre stata attratta dalle culture profondamente religiose. Farid ci spiega i cinque Pilastri dell’Islam e le modalità della preghiera.
Faccio un excursus antropologico: spesso confondiamo l’Islam con il terrorismo e quindi pensiamo che i popoli magrebini, islamici, siano “senza coscienza” a causa degli atti terroristici. Ritengo invece, ascoltando le persone comuni, che l’Islam sia di per sè una religione molto mite e giusta, nella quale regna la correttezza. Farid ci spiega che una volta i negozi del souk non chiudevano, ma semplicemente il proprietario andava via, lasciando tutto esposto. Nessuno rubava. Rubare o maltrattare non sono concetti che appartengono a questi popoli, anzi. Ma termino qui perchè voglio parlarvi di altro.
Camminiamo tutto il giorno. La corsa di stamane attraversava luoghi diversi, ora siamo nel pieno della Fez turistica.
Fez e l’artigianato.
Fez, ci dice Farid, è la capitale degli artigiani. E di artigiani ne vediamo molti.
La prima visita alle concerie è a dir poco “asfissiante”. Io non sono una persona schizzinosa e non mi lascio spostare dall’odore del guano di piccione. E’ così che conciano i pellami. Il guano contiene ammoniaca e riesce a conciare le pelli e ad ammorbidirle. I pellami, di pecora, capra, mucca e dromedario, vengono prima lavati in calce viva, poi nel guano e solo successivamente tinte. Gli operai passano le loro giornate immersi negli odori tremendi, noi solo qualche minuto. Il risultato sono calzari magici da Aladino, borse e borsoni in cuoio dai colori naturali, arredi e poltrone.
Alla cooperativa dei tappeti le donne passano la giornata ad intrecciare nodi al telaio. Ci fanno provare e la nostra lentezza è esasperante. Sarebbe bello comprare un tappeto, alcuni in lana di cammello, grigi con disegni geometrici, mi rapiscono. Ma non ho spazio in casa e sarebbero di troppo.
Va meglio alla cooperativa di tessuti e a quella di ricami e ceramiche. Il blu dei touareg è incredibile. Che siano sciarpe o ceramiche, il blu è profondo e brillante. La seta qui non è animale, ma di Agave. Dalle foglie di agave ricavano un filamento serico che intrecciano con un complesso sistema di chiodi ai lati delle strade. Uscendo dalla porta del Rijad la prima sera mi sono trovata imprigionata in filamenti tesi: era la seta, che viene arrotolata ovunque, splendente e sottilissima.
E poi ci sono le spezie, le essenze, i profumi, l’olio di argan, le cere. Tutto ha un odore caratteristico, tutto profuma, olezza, si fa riconoscere nel turbinio del souk.
I negozi di abiti nuziali e paramenti dedicati alla specialità di quel giorno sacro scintillano, si perdono nei passaggi dei muli sul suolo piastrellato.
Tra un giro e un passaggio buio, una discesa e qualche gradino sbilenco, una porta di ceramiche colorate, ecco che ci ritroviamo come per magia davanti alla porta del Rijad Dar Attajalli.
Salutiamo Farid e, finalmente, ci concediamo una cena dai sapori casalinghi.
Il giorno finisce tra le mura della corte interna del Rijad. Domani porterò la mia curiosità nella città blu di ChefChaouen.