Correre è bello anche quando non lo è. Una Mezza Maratona da dimenticare
I sentimenti ancora sono poco chiari nella mia testa. Un misto di nausea, emicrania, senso di vuoto, brividi mi percorre la schiena e le ossa.
Non ho l’influenza, solo che stamattina ho provato un’esperienza nuova. Ho corso 21 chilometri senza il piacere di correre. Anzi, è stato un calvario.
Posso con tutta certezza affermare che è stata la gara più brutta che abbia mai corso, l’esperienza podistica più difficile mai provata e vi assicuro che la gara di per sè, per quanto dura, non era niente male.
Solo che al quinto chilometro si è spenta la luce.
Mi sono svegliata stamattina felice di correre la Mezza Maratona di Avigliana – gara di “respiro internazionale” tra le valli del Torinese – felice di avere questa opportunità, carica, quasi riposata dopo la giornata di sabato.
Eppure sapevo che qualcosa non andava, o forse qualcosa non è andato proprio perchè presupponevo di saperlo.
Detto questo e fatta anche qualche elucubrazione sui possibili perchè, la verità è che il perchè reale non lo conosco affatto, ma dopo cinquemila metri è finito tutto.
Non ho memoria se non della salita all’undicesimo, salita che ho affrontato camminando, mentre intorno a me podisti dallo sguardo vitreo rinunciavano a lottare e altri attaccavano come furetti.
Non camminavo in una gara dal 2007.
Un percorrersi di incroci e rotonde e campi e valli, un flipper di sensazioni tremende nelle gambe e nel cuore, i battiti fuori registro, i pensieri appannati, i brividi di un freddo anomalo e il fischio di un vento che non c’era, fisso nell’orecchio destro.
La brutta abitudine di cercare i perchè non ha dato soluzioni se non che sono stanca, troppo stanca, anche se gli ultimi chilometri mi hanno regalato la consapevolezza che alle volte volercela fare paga la sua parte.
Ho corso per inerzia, per tenacia, tra le lacrime – mie – e il respiro mozzato – mio e degli altri. Sentivo i piedi irrigidirsi e mi guardavo dall’esterno per vedere il correre di una podista stremata dalla fatica.
Ho corso quasi sola lungo le vie di Avigliana, facendomi superare e superando chi era più stanco di me. Ho arrancato, ho temuto di mollare, ma non l’ho fatto.
Ho avuto tutto il tempo per prendere in esame il mio corpo senza energie: i muscoli erano vuoti, ma stavano bene, il cuore esausto, ma funzionante. E quindi non ho mollato.
L’arrivo è stato sopra ogni aspettativa trionfale: il trionfo di non essere crollata prima, il trionfo dei vinti che tornano a casa tra le braccia dei cari. Ho portato a casa le mie gambe, male, ma le ho portate al traguardo.
Ho odiato quei 16 chilometri uno per uno, ho aspirato ogni sfumatura di dolore, stanchezza, malessere che potessi provare. Ho odiato le salite, ho sorriso raramente, ho annaspato, incespicato, ho messo un piede davanti all’altro con il gesto atletico di una signora in centro per vetrine su tacchi troppo alti.
Ho pianto, più volte.
Eppure, eppure, se ci penso bene non ho mai mai mai odiato la corsa. In nessuno di quei momenti, anche quando ho guardato timidamente il cronometro per scoprire che ogni risultato era sfumato, ho odiato la corsa.
Io amo correre.
Amo i sorrisi in partenza, amo le attese dei premi di categoria, amo la sottile aria di chi si è svegliato presto la domenica. Amo le amicizie volanti di chi si conosce solo alle gare come me e Sara, amo la strategia per provare a dare quel qualcosa in più. Amo vedere gli amici gioire per un bel risultato.
Amo la corsa.
E in qualche modo ho amato anche questa gara fatta di lacrime e brividi.
Questo è il mio modo di vivere, questa la mia gioia.
1 ora 37 minuti e 2 secondi dei quali vado fiera, perchè per la maggior parte sono stati corsi per forza di volontà.
Lascio il tempo “quello bello” – spero – alla prossima gara, la Milano21.
Ora mi riposo.
Buona corsa a tutti