Costruire la performance – intervista con Francesca Canepa
Venerdì scorso l’ho vista partire da Chamonix per i 171 km dell’UTMB ed ero stupita. Conosco Francesca da qualche anno, da quando ho avuto occasione di incontrarla a Courmayeur per qualche foto e per chiederle di voler essere la madrina del mio progetto “4Girls4Marathon”.
Ero all’inizio della mia avventura da blogger ed ero emozionata di poter parlare all’atleta che per due volte aveva vinto il Tor des Géants.
Francesca mi parve una donna schiva e decisamente concreta. Io le avevo detto intervista e non le avevo accennato a fare foto di corsa. Davo per scontato che un’atleta del suo calibro sarebbe arrivata vestita da corsa. Invece arrivò vestita comoda, ma normale. Ne uscirono delle foto in cui lei correva benissimo vestita “alla meglio” e io spiccavo vestita come un’atleta.
Parlammo di tante cose, soprattutto di donne. Di diritti femminili, di diritto di essere noi stesse. Di fronte alla mia domanda a proposito delle violenze sulle donne lei mi disse con candore “se corri forte puoi scappare meglio”.
Niente di più vero. Non diede soluzioni esterne alle violenze, solo un suggerimento facile per cavarsela anche da sole. Correre.
(puoi leggere qui l’intervista completa del 2014)
Francesca è così, una donna sicura di sè, pratica e sfrontata. Molto spesso un po’ naif. La sua è da sempre una direzione “ostinata e contraria”.
E così quando ha iniziato a guadagnare posizioni all’UTMB 2018 mi sono sentita felice. Non ama autodefinirsi parlando della sua età, ma io la trovo sensazionale. Il 14 settembre compirà 47 anni.
Con lei alla linea di partenza le favorite hanno anche vent’anni di meno. Eppure al traguardo arriva prima lei. Vestita di nero, calzata la maglia dello sponsor sopra i vestiti, braccia alzate, volto stralunato e felice. Non ha nulla a che vedere con le atlete élite scanzonate e colorate che sono state presentate in conferenza stampa.
Francesca Canepa è un discorso a parte.
Quando la chiamo al telefono iniziamo a chiacchierare. Lei parla come un libro aperto, sembra non avere filtri. Il tono è molto colloquiale e alle volte i toni si fanno veementi. Se la seguite sui social sapete che il suo, alle volte, è un soliloquio fatto di pensieri profondi e perentori.
Le faccio le mie domande, ma lei le anticipa quasi tutte. Quello che sento è che mette tutta se stessa in questo sport. Dovessi definirla, la definirei un’atleta, ancora prima che una donna, ancora prima che una runner, ancora prima che la vincitrice dell’UTMB 2018.
Francesca, ti aspettavi questa vittoria?
Mi aspettavo un buon risultato.
Questa volta sono partita convinta, non come altre volte, in altre gare. Ho scelto di gareggiare in questa gara, che è una storia a sè rispetto alle altre. Ho vinto altre competizioni, ma qui si presenta in partenza il gota dell’ultra trail. Tutte le migliori atlete del mondo sono lì per vincere. E’ una gara che se non sei perfettamente consapevole di poter affrontare nel migliore dei modi non fai.
Per andare a correre l’UTMB devi avere le palle, ti metti molto in discussione, è facile fare figuracce.
Ma quest’anno ho lavorato bene, diversamente. L’anemia che mi affliggeva in passato è rientrata, ho cambiato alcuni aspetti del mio allenamento e del rapporto con la fatica. Renato (Jorioz) me lo ha sempre detto che avrei potuto fare di più. Quest’anno ho spinto tutto.
Tasto delicato: età. Cosa hai da dire e come la tua età può essere interpretata in questa vittoria?
Sono stufa di parlare della mia età. Nella vita l’età mi ha fregata già con lo snowboard. Dovevo andare alle Olimpiadi e mi hanno detto che a 25 anni ero vecchia.
L’età non c’entra nulla. Io sto bene, ho le articolazioni di una tredicenne, mi infortuno poco, calibro gli allenamenti, mi gestisco al meglio. Anche sentir parlare di esperienza, storia, età, maturità sportiva: basta! Io mi sento benissimo e non sto a guardare quanti anni ho. So esattamente quello che posso fare e lo faccio al meglio. Sono oggettiva nel valutarmi e questa volta sapevo che potevo permettermi un buon risultato. Non è questione di età, è questione di testa.
A proposito di testa: quanto è contata?
Moltissimo. Ho lavorato sulle mie paure per poter gestire la gara, sui miei limiti.
Ho addomesticato le paure. Di questa gara io temo la partenza a Chamonix: affollata, caotica, velocissima. Fino a Les Houches si va a mille e io non lo reggo. Mi mette ansia, mi deconcentra. Ho visualizzato ogni giorno la partenza e ho addomesticato l’idea.
Sono rimasta dietro, a Les Contamines ero dietro e me ne sono fregata. Mi sono fermata a bere e a mangiare quando nessuno lo faceva. Mi sono ascoltata e me ne sono “fottuta”.
Ho guardato a quello che sapevo fare e, se non era quello che facevano gli altri, ho cercato il focus in me stessa, senza farmi influenzare. Ad esempio: io in salita ho bisogno di correre, ma c’è chi mi supera camminando. Se dovessi badare a loro inizierei a camminare, facendomi influenzare, ma io ho bisogno di correre per rendere. Sono rimasta concentrata su di me e basta.
Non ho usato nessuna strategia basata sugli altri. Ho solo assecondato me stessa e ho calibrato la gara su di me.
Sognare la vittoria o gareggiare per vincere: di che opinione sei?
A me la parola “sogno” non piace. Anzi, mi sta un po’ sulle balle. Oggi si usa tanto, ma sembra sempre che quando si parla di sogno si deleghi il proprio futuro al fato. Io sogno e poi la fortuna me lo fa raggiungere… Io non ho sognato questa prestazione.
Io ho costruito la mia vittoria, o quantomeno la mia performance. Con sacrifici e tecnica, lavorando sulla mia testa e sui miei limiti, migliorando costantemente. Nulla è stato lasciato al caso.
Non è che un giorno ho sognato l’Ultra Trail e la fortuna ha voluto che succedesse. Ho fatto il mio meglio, quello per cui ho lavorato.
Montagne valdostane: tu appartieni alle valli di questa gara. Cosa hai provato?
Io mi ritengo essere “del Monte Bianco”. Questa è al montagna che vedo tutti i giorni e questa gara passa sotto casa mia. Io qui mi sento a casa.
Tuttavia io sto bene ovunque, non sono “in fissa” con le mie montagne. Ci sono luoghi stupendi in cui correre è bellissimo e che sono molto lontani da qui.
Diverso è se parliamo di popolazione della Valle d’Aosta. Quando qui si sono accorti che stavo vincendo hanno iniziato ad acclamarmi. vedevo persone commuoversi, mi hanno tifata con un calore incredibile. Sì, io qui sono a casa. Sono “di casa”.
Cosa farai “da grande”?
L’atleta. Io farò l’atleta per sempre, finchè resto su questa terra. Quando non potrò più correre (è ancora da vedere…) farò l’tleta diversamente, ma io sarò un’atleta per sempre.
Vuoi aggiungere qualcosa?
Io adoro essere “CONTRO OGNI PRONOSTICO”.
Semplicemente super!!!