La Cultura Sportiva: un nuovo trend?

Il venerdì è il giorno delle riflessioni.

E’ qualche settimana che osservo il “popolo italiano”, che ascolto i commenti ai bordi delle strade durante le gare, che partecipo ad eventi diversi tra di loro, che rifletto su cosa sta succedendo al mondo dello sport italiano.

Da un lato io vivo la corsa da podista: mi alleno duramente, ascolto in religioso silenzio il mio corpo e le sue necessità, mi iscrivo a gare periodicamente, cerco di battermi sul tempo, do tutta me stessa, parlo di contratture, bevo centrifugati e venero le mie scarpe preferite da gara.

Negli anni ho assunto tutte le abitudini del podista.

Odio le corse affollate, mal tollero chi non rispetta la mia corsa, studio i percorsi prima, mi iscrivo a gare di paese dove c’è poca gente e tutta forte per non imbattermi nei “runner da selfie”. E poi se fallisco ci rimango male, riprovo, mi incaponisco.

Insomma, sono una podista e vedo questo mondo di podisti diventare sempre più esiguo.

Poi vedo TUTTI GLI ALTRI.

Le corse “social” come la Color Run, la ViviCittà oramai storica, l’appena passata 5:30, RUN4ME, RUN4T, Wings for Life, Electric Run… fanno migliaia di iscritti. Partecipano camminatori, donne, mamme, nonni, cani, bambini…

E la mia riflessione arriva proprio qui, ai bambini: per anni l’idea di sport in Italia è stata FANNO SPORT I FORTI, mentre quelli non forti stanno a guardare. Con la conseguenza che arrivati verso i 12-13 anni si veniva etichettati come sportivi o non-sportivi.

Gli sportivi erano iscritti all’agonismo. I non sportivi abbonati alla televisione.

Senza vie di mezzo.

Questa idea lasciava fuori da qualsiasi pratica sportiva un buon 50% dei ragazzi, percentuale che si alzava con l’età, limitando il diffondersi di una CULTURA SPORTIVA.

Accompagnando a correre le persone come Running Motivator mi sto sempre più rendendo conto che difettiamo di questa cultura. Nell’idea comune lo sport è qualcosa che si fa se si è forti, si fa per fare fatica, farlo costa sacrificio, un sacrifico che viene ripagato da podi e medaglie.

Senza podi e medaglie non ne vale la pena.

Gli eventi di “social running” invece stanno gradatamente insegnando una cultura sportiva di base, proponendo un concetto diverso: correre e muoversi è stare bene, si corre con gli amici, si corre la sera al posto dell’aperitivo o la mattina, anche solo per poter fare colazione insieme dopo la corsa. Uno stile di vita più attivo è diventato un trend, seguito, in quanto trend, da moltissime persone.

Promuovendo così una “CULTURA DELLO STARE BENE”.

Ora manca il passo fondamentale. Promuovere la cultura sportiva nei ragazzi. Quelli che non sono agonisti. Non abbandonarli alla televisione, insegnare loro che muoversi è il segreto per essere dei futuri adulti sani.

E felici.

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RunningCharlotte
RunningCharlotte
Perché la corsa è uno stile di vita e ad ogni passo ci fa crescere un po’ e perché non bisogna essere campioni per correre, basta mettere un passo dietro l’altro. Keep in running.
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Showing 2 comments
  • Camillo Sirianni
    Rispondi

    Anche perché potremmo aprire un lungo lungdiscorso su malattie varie, da quelle cardiovascolari all’obesità ecc ecc

  • doodlemarti
    Rispondi

    Abitando in un paese di montagna mi accorgo che qui, per fortuna, i bambini e i ragazzi giocano fuori, si muovono molto, e chi non fa ski college fa hockey o pattinaggio su ghiaccio, senza contare i climbers! Ma in città…hai perfettamente ragione tu! Si sta promuovendo sui social il movimento, il farsi del bene con l’attività fisica, ma sono ancora troppi i bambini/ragazzi che restano inchiodati davanti alla Playstation…e quando vengono quassù, si vedono proprio!

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