Gli occhi dell’emozione: l’Ultra Trail du Mont Blanc che mi rapisce

Sono le cinque del pomeriggio, nella sala delle conferenze dell’Hotel Majestic di Chamonix si è appena tenuta la conferenza stampa dell’Ultra Trail du Mont Blanc uno dei – se non il più – prestigiosi ultra trail al mondo. Dal 2003 un gruppo sempre più copioso di sfegatati delle ultra si cimenta su questo percorso di 170 chilometri sul sentiero di uno dei trekking più belli del mondo, il Tour du Mont Blanc.

Tre paesi attraversati, Italia, Francia e Svizzera, 10mila metri di dislivello positivo, almeno una notte a correre, centinaia di pietre sugli alluci, sudore e vento, pasti frugali a base di barrette e pasta scotta, due o tre cambi di maglia.

L’UTMB, un’avventura epica, agognata da molti atleti e da molti amatori.

Durante la conferenza stampa si alternano sul palco i grandi del trail running. Una foto con Kilian mi strappa un secondo di batticuore, qualche rapida parola di circostanza rispondendo alle domande di giornalisti assonnati, mentre noi altri facciamo il toto scommesse per vaticinare sul vincitore futuro.

I runner élite sono giovani e forti. Tra gli Italiani sono Marco De Gasperi, che però corre la distanza “breve” dei 100km della CCC, Courmayeur, Champex, Chamonix.

Ho appena avuto la certezza che parteciperà anche Francesca Canepa, una donna che ho sempre stimato che, malgrado un CV da runner di livello, in mezzo ai ragazzini non c’è. Forse sono i suoi quasi 47 anni, forse il carattere scostante, forse è solo che gli altri sulla carta sono più forti.

Esco dalla sala dalle colonne imponenti leggermente annoiata. Non amo le conferenze stampa, hanno sempre l’odore delle cose dette a metà.

Macchina fotografica alla mano vado in giro per le strade di Chamonix. Stanno arrivando gli ultimi concorrenti dell’OCC, gara di 56km che raccoglie i sogni di tanti.

Mi fermo per strada e li guardo arrivare. C’è chi sorride mettendo nelle gambe le ultime energie. Chi prende per mano figli. Chi si trascina con il sollievo di essere finalmente arrivato.

Cerco di guardare gli occhi, nascosti da troppa fatica e da bandane ridotte a stracci tergisudore.

Nelle rughe del viso, sorridente e stralunato, la polvere di quasi 60km e 10 ore di fatica. Arrivano sotto al traguardo e si tramutano negli eroi delle loro famiglie. All’arrivo dei trail il gesto più in voga è il bacio: mogli che baciano mariti, alle volte fidanzati che aspettano le compagne. Figli che abbracciano genitori che in quell’istante diventano eroi per sempre.

Mi sento appagata da quelle immagini di vittoria personale, di sogno raggiunto, di obiettivo portato a termine.

La mattina seguente all’alba parto per Courmayeur, dove partirà la CCC. Il clima è della festa, lo speaker parla e mette musica italiana.

Tra Jovanotti, Vasco e Inno Nazionale, Les Beuffons, maschere tipiche del Carnevale di Courmayeur, suonano e ballano colorando di folklore la piazza, che per un giorno si è fatta un patchwork di tessuti tecnici fluo.

Guardo, osservo e fotografo.

Una ragazza piange commossa alla linea di partenza. Le lacrime le escono senza possibilità di fermarsi. Cerco di captare la luce che si riflette sulle ciglia umide. E poi sorrisi, tesi ed esacerbati dall’emozione. Qualche ostentazione di ironica virilità, e poi ostentazione di sguardi fissi e concentrati.

E così partono. A piangere ora sono io.

Io piango solo alle gare di corsa e ai matrimoni, in entrambi i casi sopraffatta dalle emozioni.

Vorrei partire con loro.

I giorni seguenti si susseguono in ore di “inseguimento” alla gara, soprattutto quando finalmente la distanza regina dell’UMB parte.

Francesca (Canepa), la vedo un secondo prima del via. E’ così tesa che non guarda in giro. Si nasconde in seconda fila, dietro alle americane, come sempre allegre e danzanti. Ma questa è una gara per chi ha esperienza e testa e mettersi indietro è una scelta tipica di chi conosce l’umiltà della fatica.

Nelle 24 ore successive alla partenza andiamo in giro per le valli, togliendo reo al sonno e mettendo passi su passi nelle gambe. Salendo la Val Veny incontriamo decine di lampade frontali che ci vengono incontro. Sono del 5 del mattino e fa freddo.

Al punto di ristoro guardo negli occhi chi arriva. Sono 67km di gara. Ne hanno ancora 100. Sono stravolti e felici come dopo aver fatto l’amore.

Penso esattamente questo: hanno lo stesso volto che avrebbero dopo aver fatto l’amore tutta la notte.

E forse in qualche modo è così.

Risaliamo verso il col de la Seigne. Inizia ad albeggiare.

Dopo una colazione lenta e riscaldante al rifugio Elisabetta Soldini, ridiscendiamo. Manca poco al cancello orario e dal sentiero arrivano concorrenti stanchi e stralunati. Ma sorridenti.

Li guardo e non posso evitare di pensare che probabilmente questi atleti sono quelli che non arriveranno alla fine. Sono già allo stremo, al limite dei tempi. Eppure sorridono. Ci credono, non smettono di sognare.

Sono bellissimi.

Mentre noi siamo qui con la “coda” della gara, gli atleti di testa sono nell’ultimo terzo del percorso.

Ritorniamo a Chamonix e saliamo al Col Montet appena in tempo per veder sfrecciare il francese Xavier Thévenard verso gli ultimi km della sua vittoria.

Sono in molti ad essersi ritirati, tutti – quasi – i favoriti hanno avuto problemi. Il clima piovoso e rigido, il sentiero, la stanchezza, li hanno sfiniti.

In testa alla gara è passata Francesca Canepa.

Era rimasta indietro, a osservare. E ora, posizione dopo posizione, è la sua esperienza che fa scuola.

In sala stampa mi chiedono di parlare di lei, in italiano, ad una TV spagnola. Mi ricordo quando in una vecchia intervista (puoi ancora leggerla qui) mi disse che correndo ascoltava Francis Cabrel. Me la immagino, con il sorriso della vincente ascoltare le parole di Je t’aimais, je t’aime, je t’aimerais.

La guardo ripresa sulla diretta TV. Questa donna ha la capacità di non tirarsela mai. Sta vincendo e sembra me quando parlo di cosa ho appena mangiato.

Mi commuovo. Non riesco ad impedirmelo.

Sono così belli questi atleti. Così veri. Così normali nella loro prestazione incredibile.

Non posso aspettarla all’arrivo. Devo rientrare. Recupero l’automobile e mi metto a guidare. Tornando ad Aosta guardo le mie montagne che scorrono nei finestrini.

Respiro a fondo. Sono stanca dalla notte in bianco. Guardo l’aggiornamento degli arrivi.

Francesca ha vinto.

E se l’anno prossimo al posto della maratona autunnale mi regalassi un trail?

 

RunningCharlotte
RunningCharlotte
Perché la corsa è uno stile di vita e ad ogni passo ci fa crescere un po’ e perché non bisogna essere campioni per correre, basta mettere un passo dietro l’altro. Keep in running.
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Comments
  • cristinabia
    Rispondi

    Magari quella corta potrebbe essere una promessa che mi faccio per vincere la fatica di ripartire seriamente dopo la gravidanza! Post bellissimo, mi hai fatto venire una voglia incredibile di correre sul serio, e per ora posso solo tropptterellare!

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