Riemergere: quell’insostituibile sensazione di benessere della corsa
Stamattina non lo immaginavo. Mi sono svegliata come sempre da due mesi a questa parte alle sette e mezza, un notevole senso di vuoto allo stomaco.
“Ah, vero, oggi posso uscire a correre. Ah. Vabbè, faccio colazione che così non farei un metro.” Faccio colazione in calzoncini, pronta a schizzare fuori, eppure avrei pensato di sentirmi meglio, di essere più impaziente.
Alcuni amici hanno organizzato – a mio avviso per il solo gusto di evadere – delle notturne con partenza a mezzanotte e un minuto. Io non ci ho minimamente pensato.
Nelle ultime otto settimane ho corso quattro volte, sotto casa del mio compagno dove mi sono trasferita, cercando di appassionarmi al parchetto della zona industriale qui di fianco, deserto se non fosse per qualche brutto ceffo che imperterrito va a zonzo. Io non ho il gusto dell’evasione. Da ragazza ho tagliato scuola un giorno soltanto, per studiare per il compito di fisica del giorno dopo. Non ho mai copiato a scuola, non sono mai uscita di nascosto.
Non ero dotata di spavalderia allora e non lo sono per nulla oggi.
Persa nell’immagine del parchetto e dell’ansia da controllo dei carabinieri ho finito al colazione. Non avevo nessuna voglia di correre.
Se c’è una cosa che da sempre io patisco è l’ingiustizia. In questi due mesi non ho rotto le scatole a nessuno, se ho corso è stato per togliermi alcune curiosità su di me e sul mio rapporto con la corsa e non ho mai sgarrato. Ho cercato di dare sempre una immagine positiva, mi sono adattata a quei maledetti rulli (salvezza) per provare a me stessa che potevo fare a meno della corsa per un po’.
Quando la gara che stavo preparando è stata giustamente annullata non ho detto niente. Non ho visto amici, genitori, parenti per tutto il tempo che il decreto lo vietava. Ho fatto la spesa se necessario.
Come quando andavo a scuola, sono stata secchiona. Che poi è l’unica cosa che mi riesce veramente bene.
Al che, finito il caffè, passo in riesame tutte le incredibili libertà che il nuovo decreto mi concede e decido: vado a casa mia. Mi riapproprio dei miei oggetti, dei miei libri. Accendo caldaia e computer, mi lavo la faccia con il mio detergente che sa di buono, indosso dei calzoncini che non vedo oramai da due mesi. Ricerco la normalità e poi si vedrà.
Guido in una Torino che sta andando a lavorare e per la prima volta il traffico mi pare pieno di vita.
Posteggio, apro la porta di casa mia e un odore di buono mi aspetta. Mi rendo conto che è il mio odore. Come un cane riconosce il padrone, io riconosco la mia natura.
Passo in rassegna tutte le mie scarpe da corsa, indosso il completino che avevo durante l’ultima gara, la Napoli City Half Marathon che mi ha regalato quel 1:29′ tutto sudato.
Mi faccio prima un caffè, con la mia moka. Accendo il computer e riscrivo l’articolo che avevo abbozzato in questi giorni e che non mi dava soddisfazione. Mi esce bellissimo.
Indosso le scarpe e esco. Ho la mascherina in mano. Non è obbligatoria, ma non si sa mai, dopo voglio andare dal giornalaio a comprare Correre.
Inizio a correre nel sole e mi dirigo al Valentino. La stessa strada di sempre, solo che questa volta non guardo nemmeno l’orologio. Strano, perchè monitoro sempre quanto impiego dalla porta di casa al semaforo del parco, non posso farne a meno: 3 minuti e 23 secondi circa. Se sono stanca 3’30”, se sono in forma 3’18”. Oggi non lo so.
Ho deciso che se incontro troppa gente cambio itinerario, ma non siamo tanti e quelli che ci sono camminano mantenendo le distanze.
Il parco mi invade il cuore in un secondo. Sento un’aria calda entrarmi nei polmoni. Il sole mi scalda le braccia. I piedi saltano felici come un cane che sbatte la coda. La corsa.
In tabella il coach ha messo un “60′ easy easy per provare”. Io voglio vedere il mio parco. Conosco ogni suo sentiero, so dove devo evitare di passare per non incontrare troppe persone, lo sento salutarmi ogni volta che i piedi incontrano la terra.
In molti camminano, a coppie. Non ho la carogna di misurare quanti centimetri ci sono tra una testa e l’altra, sono concentrata sulle mie distanze: almeno due metri, sempre.
In un punto una signora anziana fa difficoltà e mi scanso per lasciarle spazio. Mi guarda e si scusa per aver intralciato la mia corsa. Non sa che la sta soltanto rendendo migliore.
Le gambe sembrano aver perso dieci chili dalla settimana scorsa, a riprova che correre è uno stato mentale e che l’allenamento può essere ripreso senza timori per un amatore, anche se con calma.
Rientrando a casa l’unico neo è una coppia di signore che mi critica perchè non indosso la mascherina “anche se corro”. Rispondo loro che non si deve portare correndo all’aria aperta se si mantengono le distanze. Loro ribattono che lo sanno “ma non si sa mai” e se ne vanno a braccetto, come se il metro di distanza per loro non valesse.
Mi fermo in edicola. Indosso la mascherina. Compro Correre. Poi mi fermo a comprare qualcosa per pranzo perchè il mio frigo è vuoto.
In una sola ora mi sono ripresa il buonumore e una sembianza di normalità.
Correre è sempre una sorpresa.