Running in Jerusalem
La corsa ha un grandissimo vantaggio, a parte le endorfine che sviluppa: ti permette di avere la scusa perfetta per viaggiare.
La meta dell’ultima gara è un luogo dai mille contrasti, un luogo dai mille fascini, un simbolo per le tre grandi religioni monoteiste con tutti gli assolutismi e gli ortodossismi che questo comporta: Gerusalemme, la città del martirio di Cristo, la città dell’ascensione di Maometto, la città santa della terra santa.
La città della coerenza e dell’incoerenza, della tolleranza e della terribile intolleranza, la città bianca e luminosa, la città del potere e dell’oppressione.
E la città con la maratona più dura che abbia mai fatto: 42 km di saliscendi, senza 200 metri filati di piano. Sul sito si parla di 300 m di dislivello positivo totale, ma chi l’ha fatta dice che è un modo per non spaventare i podisti, perché il GPS ne segna 700. Io ne ho sentiti nelle gambe almeno 1000 di metri!
Dopo passaggi devo ammettere stupefacenti tra quartieri ebraici e quartieri musulmani, vi dico solo che sono così “sadici” da mettere l’arrivo in salita!
Nonostante questo RunningCharlotte ha stretto i denti ed è arrivata, posizionandosi seconda su due tra le Italiane. Il dettagli che dopo di me non ci sia nessuno è totalmente irrilevante.
Due dettagli: non è vera la diceria che ti tirano le pietre mentre corri, anzi la sola persona che mi ha fermata voleva sapere dove avessi trovato delle scarpe da corsa lilla; secondo, non ho foto perché il sito del fotografo è solo in ebraico e non capisco come ordinarle…
Ultima cosa: al nostro passaggio tutti gridavano una cosa che suona come “alakavul”. Ho interpretato che fosse un incitamento. Qualcuno me lo traduce? Se ha un significato negativo lasciate perdere, nella mia testa suona come un “forza” di incoraggiamento e mi piace.