La campestre – 20 anni dopo
Non ho mai voluto fare un cross.
Che poi oggi si dice cross, ma un po’ è la stessa cosa della campestre delle medie, anzi, non “un po’”. E’ la campestre delle scuole medie. Uguale uguale.
Arrivi in un parco in periferia, la galaverna – termine tanto amato da mia mamma prof. di scienze – ricopre l’erbetta marrone intrisa di umido e anni di calpestio di nonni e avventori sporadici.
Il percorso, in questo caso bello e facile, è segnato da nastri di plastica che nemmeno CSI – Scena del crimine.
Un gonfiabile in partenza ed uno in arrivo.Il resto è erba secca.
Questo d’altronde è un cross importante, dedicato ad un uomo altrettanto importante, che io non ho avuto l’onore di conoscere. Gianni Pedrini. Un podista che ha fatto la storia mentre io stavo ancora a studiare il greco sul Rocci in un’aula del liceo di Aosta,
“Pedro” per gli amici, ma io non l’ho mai conosciuto e corro e basta, con stima e onore a un uomo che a Torino ha dato tanto.
Ho paura. Non ho mai avuto così paura da un po’. Ieri sera non ho dormito, malgrado la cena leggera.
Non sono abituata a fare 4000 metri tirati. Ho paura. Avevo paura anche alle scuole medie, infatti non li ho mai fatti, i cross.
E invece oggi mi trovo lì. Mi sento un pesce fuor d’acqua e mi manca il mio asfalto del Valentino.
Sparo. Parto. Chiodate ai piedi, prestate perchè io non ho scarpe chiodate. Sono stanca. Stanca con la S maiuscola.
Ho paura e sono tesa.
So che vedrò uno sguardo, sopra tutti, che mi farà male perchè eviterà il mio.
Ma corro, in un misto di sofferenza e panico. Che cosa sto facendo?
Al primo giro vorrei già che fosse finito, invece sono a metà.
L’asma mi tortura da prima della partenza, come ogni volta che qualcosa non va, come quei 1000 metri a 13 anni. Quei 1000 metri che a 400 erano già finiti perchè erano troppi.
Guardo Carla che vola davanti, non la vedo quasi più- Guardare la sua forza ne dà a me, perc hè chi non può vincere, spesso, diventa forte della forza degli altri, come in un sistema di vasi comunicanti invisibile.
Lei vola (arriva terza assoluta) e io trovo la voglia di sorridere.
So che oggi, questo, non è il mio sogno, ma è uno scalino di una scalinata che porta ad uno dei troni della vita. Il mio.
Arrivo distrutta, dolorante e con qualcuno, inaspettato, ad aspettarmi.
Non so se ho fatto bene o male in assoluto, ma io ho vinto un pezzo di battaglia.
Quella contro la me stessa che si nasconde. Ancora.
Il premio sono dei ricci biondi (quelli di Luisella che in foto sono lisciati dal sudore) e una canzone dell’Orage che mi attende in auto.
Bellissimo, perchè è bellissimo esorcizzare le paure.
Grazie al coach Degiu che me lo ha fatto fare.
Non sarà l’ultimo.