La Corsa della Bora – la mia prima Ultra

“io una Ultra? Mai e poi mai!”

Eccomi qui a pensare a queste parole. L’ho detto, forse l’ho anche scritto, ne ero certa. Io sono una maratoneta nel cuore, mi sono appassionata così tanto alla Maratona da scriverci questo blog, mi piacciono le ripetute, i tempi sul GPS, i risultati, mi esalto per un podio e mi arrabbio quando mi superano.

Ho sempre rifiutato l’idea di fare uno sforzo lungo così tante ore, l’ho giudicato anche deleterio, folle, insensato.

Poi sono stata all’UTMB e ho visto gli occhi dei trail runner.

Ed è tutto cambiato.

Per iniziare ho scelto la Corsa della Bora 57km.

Cristina (Run and The City) e Manuela (Women in Run) nel 2018 avevano partecipato a questo evento correndo la 8km sotto al diluvio e, malgrado il clima infausto, ne erano tornate entusiaste.

Ricordo che le avevo invidiate. Trieste è una città bellissima ed io amo visceralmente le terre di confine. Credo che nei luoghi a cavallo tra uno stato e l’altro si nascondano frammenti di cultura segreti e imperdibili, fatti di tradizioni orfane di patria, di usanze che discendono da tempi lontani e quasi dimenticati.

Così mi ci sono buttata, senza pensarci troppo. In realtà volevo pensarci, volevo meditare un canovaccio di allenamento, volevo fare delle prove prima di decidere. Invece ho deciso senza cognizione.

Mi sono iscritta alla 57km come avrei scelto la pizza del sabato sera.

E ho così messo il primo scalino per la scala che mi porterà a Ushuaia il 6 aprile.

Una gara spettacolare.

Della Corsa della Bora ho sentito parlare molti altri trail runner. Le notizie principali che ho ascoltato parlavano di paesaggi di una bellezza selvaggia e poetica, di viste sul mare spaziose e di tramonti sul Carso.

L’organizzazione la definisce un percorso molto vario, che attraversa terre diverse, tra Friuli e Slovenia e che presenta tratti molto scorrevoli.

Quattro le distanze nel 2019: 8km, 21km, 57km e 164km.

La mia gara, la S1 Trail, con i suoi 57,3km e 2.600 m D+ mi è parsa al contempo impegnativa e fattibile.

Si chiama “S1” perchè il percorso di gara segue il Sentiero 1, un sentiero CAI molto frequentato e apprezzato da turisti e Triestini.

Guardare in faccia i limiti.

Ho scelto questo progetto sul trail running, che ho chiamato “Correre è la Fine del Mondo”, perchè volevo guardare in faccia i miei limiti, mettermi in gioco in un territorio che veramente non conosco.

Iniziare così a bomba mi è parsa una scommessa sfidante.

Per molti di vi 57km non sono così tanti, ma io non li avevo mai corsi e vi assicuro che mi spaventavano.

Eppure a me piace aver paura di queste sfide. Mi piace vincere questa paura, mi piace sapere che posso andare oltre, posso buttare il cuore oltre l’ostacolo. Mi piace guardare ciò che non conosco. Credo sia curiosità, ma forse è un briciolo di follia.

Sabato pomeriggio ho incontrato Fulvio Massa e Simona Morbelli, che si occuperanno della preparazione mia e di Francesca per UTMB Ushuaia, e abbiamo affrontato le basi.

Anche loro erano d’accordo su questa scelta. L’obiettivo comune era vedere dove sarei crollata, dove migliorare. Se nella maratona conosco i miei difetti, nel trail running sono una completa ignorante. Non conosco la tecnica, ma soprattutto non conosco me stessa.

La mia gara.

Quando sono arrivata a Pesek, il luogo di partenza, con i bus-navetta che l’organizzazione fornisce ai partecipanti, ero terrorizzata. Le persone con cui avevo parlato in hotel e in autobus mi avevano guardata con un misto di apprensione e incredulità. Li vedevo, tutti carichi, vestiti con indumenti fluo come dei top runner, tra barrette, borracce e zaini. Io, di blu vestita, con i pantaloni lunghi e felpati, la fascia turchese con i pinetti, la maglia termica sotto e la maglia termica sopra, sembrava che stessi andando all’allenamento di Natale, non alla mia prima gara di ultra trail.

La mattina mi ero anche truccata e fatta la mia solita treccia, come se stessi andando a correre la mia mezza maratona canonica. Avevo paura di patire il freddo e mi sono vestita comoda. E in tinta. Ho messo il mio profumo preferito, ho tenuto al dito il mio anello, recente  regalo di Natale di Massimo (che avere un pezzo di lui addosso mi sembrava di buon auspicio), al polso, di fianco al Polar Vantage V che sto testando, il bracciale regalo di mamma e avevo rimpinguato lo zaino di gel e giacca termica.

Mi sentivo una smidollata. Fuori era buio, c’era qualche grado sotto allo zero. Non conoscevo nessuno.

Poi in partenza vedo Livia. Ho conosciuto Livia correndo il Magraid nel 2017. Che bello vederla lì.

Ho respirato e siamo partiti.

Il primo pezzo di sentiero lo abbiamo fatto camminando. Io ero in fondo alla partenza e sono rimasta imbottigliata. Appena arrivati su una strada carrabile ho iniziato a correre e ho ripreso posizione. Mi sono ricordata di tutti i consigli e sono andata via senza forzare troppo.

Ho scambiato qualche parola con due ragazze a proposito delle New Balance Hierro v3 che avevano ai piedi, il modello successivo alle mie. Ho scherzato con qualcuno al primo guado. Mi sono inciampata in un po’ di rami, ho camminato un pochino in salita, stavo bene.

Poi è arrivata l‘alba sui sentieri alti. Avevamo passato il confine di stato ed eravamo in Slovenia. Mi sono fermata dalla bellezza. Le strade bianche tagliavano i crinali delle colline, il mare di fronte, lontano, la luce rosa sull’erba secca.

Correre era un piacere, così, fino all’ottavo chilometro, quando siamo arrivati ad un piccolo forte a picco sul mare. Capo d’Istria.

Ho pensato inevitabilmente ai fatti che terrorizzarono queste terre durante la seconda guerra mondiale e subito dopo. Ho ammirato la bellezza intorno, mi sono fermata un attimo. E poi ci siamo addentrati nel bosco, scendendo verso il mare.

Lì, al decimo chilometro ho sbagliato strada. Ho lisciato una deviazione e ho fatto circa 500 metri in giù prima rdi accorgermene e tornare indietro.

Una volta ripresa la retta via ho iniziato a superare. Ero di nuovo in coda alla gara. Il sentiero liscio sembrava un tracciato da cross. Mi ci sono buttata correndo il più possibile, fino al primo ristoro.

E alla prima salita vera.

Dal tracciato sembrava impervia, ma era breve e rapidamente ci ha portati in alto, sulla roccia carsica.

E poi nuovamente in basso, giù da una discesa vertiginosa e pietrosa, tanto da assomigliare alle pietraie delle nostre alpi. Me la sono presa con calma e sono scesa.

Nei boschi un dettaglio mi ha colpita: tantissimi indumenti sparsi, ovunque. Mi han detto che il fenomeno dell’immigrazione clandestina è florido e su quelle linee di confine fare il passeur è ancora un mestiere in auge. I vestiti sono el tracce visibili dei passaggi.

Risalendo una bella cascata spacca la valle dal paesaggio giurassico.

Al secondo ristoro non bevo soltanto. Ho fame e mangio. Uo uovo sodo, qualche pezzo di prosciutto. Sono tre ore che corro, mi riposo qualche minuto e riprendo più energica di prima.

Ci alziamo sul crinale e lo spettacolo è pazzesco: sole invernale sul mare. Praterie da corricchiare lentamente, sentieri facili e belli. Mi diverto, corro libera. Mi sento un animale allo stato brado. Sto veramente bene.

I chilometri passano e io sto sempre meglio. Arriva il terzo ristoro, grande e ben fornito. Mangio nuovamente, questa volta anche qualche wurstel.

Inspiegabilmente ho fame, ma digerisco bene.

Continua il mio stato di grazia. Così fino al quarantesimo chilometro con il quarto ristoro, tra vigne, paesi e viste incredibili.

Al quarantasettesimo realizzo che mancano solo dieci chilometri.

Sono in estasi.

Il tracciato si fa più tecnico e lento. Molte pietre e tratti esposti e bellissimi. Sul mare vedo il castello di Miramare.

Al cinquantesimo chilometro non mi fermo al ristoro.

Sono stanca, inizio a sentire la stanchezza salire. GLi ultimi chilometri in discesa sono duri. Una ragazza dietro di me trascina un po’ i piedi e involontariamente alza una pietra che finisce diretta sul mio malleolo sinistro. Grido dal male.

Non è nulla, ma a questo punto sono un po’ nervosa.

Arriviamo in basso, direttamente in spiaggia.

E’ bellissimo, non c’è un filo di vento ed è caldo.

Sono felice, so che ce l’ho fatta. A costo di stramazzare, mancano tre chilometri e so che sono arrivata.

Entriamo, dopo il chilometro più duro, sui massi della spiaggia, a Porto Piccolo.

Passiamo in mezzo ai passeggiatori chiccosi di questo porto snob e raffinato. Il sole al tramonto illumina tutto di rosa.

Ultima salita, accelero. Non mi importa niente altro che arrivare.

Sento la voce dello speaker, ma sembra non finire mai la strada.

Ultima curva vedo il tappeto rosso.

Sono felice. Felicissima. Sorrido, alzo le braccia e me ne frego se non si fa. Sono arrivata.

IO-SONO-ARRIVATA.

Io, con la mia treccina, i miei pantaloni termici, le mie due maglie in tinta (che si sono rivelate perfette), il mio anello al dito e il mio eye liner ancora intatto.

Forse la sola cosa che oramai mancava era il profumo, ma nascosto in qualche piega della pelle il gelsomino poteva ancora fare capolino.

Io e la mia voglia di provare cose nuove siamo arrivate.

La crisi che aspettavo? Quella no, non si è fatta viva.

RunningCharlotte
RunningCharlotte
Perché la corsa è uno stile di vita e ad ogni passo ci fa crescere un po’ e perché non bisogna essere campioni per correre, basta mettere un passo dietro l’altro. Keep in running.
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Comments
  • doodlemarti
    Rispondi

    Che bello questo tu racconto! Esprime tutta la gioa e la passione per la corsa 😉

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