La montagna “educata”: a tu per tu con Simone Moro.
Simone Moro è un alpinista, un uomo della montagna e un uomo che vive per la montagna, ma è anche un runner, tanto che corre dai 100 ai 140 km alla settimana.
Ha scalato otto dei 14 ottomila del mondo, non vi sto ad elencare quanti settemila e quanti seimila. E’ arrivato in cima all’Everest quattro volte. E’ celebre nel mondo alpinistico per la sua generosità, per la sua propensione alla condivisione degli obiettivi, tanto che nel 2001 “manda a quel paese” una spedizione perchè la notte precedente, mentre era in tenda con i compagni di cordata, risponde alla richiesta di soccorso di uno scalatore inglese, Tom Moores. Simone risponde e, malgrado tutti lo sconsiglino di farlo, sale di notte, solo e salva l’alpinista.
Il giorno dopo abbandona la sua scalata del Lhotse con il compagno Denis Urubko perchè troppo stanco.
Urubko sale in cima al Lhotse da solo, ridiscende al colle Sud, ma poi in segno di amicizia verso Moro abbandona la scalata dell’Everest affermando: “Siamo un team, riproveremo insieme”.
Questa è la “montagna educata” di Simone Moro e questo è l’uomo che ho avuto il piacere (immenso) di intervistare al Mountain Festival organizzato da The North Face, sponsor dell’atleta.
– Partiamo dalla base. Qual è la montagna che ti piace, che ami di più?
Non ho una montagna in particolare. Mi piace tutta la montagna, ma prediligo la “montagna solitaria”, non quella affollata e rumorosa, la montagna un po’ isolata. Ora che chiudono i rifugi e i turisti scarseggiano ritrovo il mio spazio. Ho scalato tante vette in invernale proprio per ritrovare questo silenzio. Per me la montagna è l’ultima, gratuita, oasi di libertà.
Amo le mie Alpi Orobie, dietro casa, ma anche l’Himalaya invernale, il Nepal, magari nella stagione dei monsoni, dove ho occasione di godere del silenzio e della tranquillità.
– L’uomo ha una grande pulsione, la pulsione al tentativo. Ogni tentativo, di per sè, può prevedere anche di non raggiungere l’obiettivo. Tu hai tentato molte imprese, ma non tutte sono state dei successi, alle volte hai dovuto rinunciare e ha ritentato. Cosa si prova?
Il tentativo è un meccanismo di apprendimento. Noi tutti da quando nasciamo proviamo a fare qualcosa, ma è umano, biologico, che alle volte non si riesca. Proviamo ad alzarci in piedi da bambini e le prime volte cadiamo, tentiamo finchè non riusciamo.
Mi spaventa molto di più l’idea di pretendere di riuscire. Chi si dispera perchè non riesce e pretende di farcela subito è innaturale. Chi fallisce è normale, poi potrà ritentare.
Anche perchè proprio nel tentare sta la felicità, non nell’arrivare. E’ proprio il tentativo che ci rende felici. Io ho tentato 4 volte in Nanga Parbat e non mi sono mai scoraggiato, anche perchè se si tentano imprese grandi bisogna dare loro il giusto valore. E’ normale non riuscire al primo colpo.
E poi bisogna dare il giusto peso alle cose. Ognuno di noi ha il suo percorso e deve saperlo apprezzare.
– L’alpinista è visto come un asceta, un amante della solitudine. Tu invece hai sempre scelto dei compagni, da Denis Urubko a Tamara Lunger, una donna addirittura. Qual è il valore che dai al tuo compagno?
Io amo la montagna solitaria, ma non sono un solitario. Amo condividere le mie avventure con qualcuno, ma prediligo il gruppo ristretto, meglio ancora essere in due.
Questo è particolare come atteggiamento, se pensi che poi “addirittura” ho scelto un compagno donna.
Siamo abituati a cordate di soli uomini e l’alpinismo è considerato uno sport maschile. Eppure io ripongo una fiducia estrema in Tamara, più ancora che in un uomo.
Lo sapevi che il termine ALPINISTA non ha sesso? Un alpinista uomo e un’alpinista donna. Vedi, è uguale…
La montagna e il turismo. In ambito trail running le polemiche ultimamente sono all’ordine del giorno. Cosa pensi del crescente interesse per le montagne?
Il turismo è una cosa bellissima, porta denaro alle comunità montane e aiuta a far conoscere le bellezze naturali. Ma il turista va educato.
Oggi il turismo manca di educazione alla montagna. Non ne faccio un fattore di numeri, ma di educazione.
Il problema è quando il turista non si lascia educare e si comporta con arroganza. Non è sufficiente un’attrezzatura all’ultimo grido, tecnologie all’avanguardia e abbigliamento super performante. Bisogna imparare ed essere umili nel farlo.
La montagna è libertà ed è giusto e bello che le persone ricerchino la libertà. Ma non bisogna confondere libertà con anarchia.
Ci vorrebbe del buon senso, ma il buon senso non si impara, quindi è necessario porre delle regole perchè la libertà degli altri non invada la propria e viceversa.
Il turismo di altissima montagna lascia rifiuti, manca di educazione. Molte volte arrivo alla mia tenda nel campo base e la trovo usata e rovinata da turisti. Esattamente come coloro che sono incuranti dell’ecosistema e gettano rifiuti sui sentieri.
– Dichiari di correre mezza maratona al giorno. E’ vero?
Certo. Corro dai 100 ai 140 chilometri alla settimana. Corro ovunque mi trovo, in città o su sentieri. Alle volte mi è capitato di correre tra uno scalo e l’altro dei voli. Certo, poi mi sono imbarcato che non ero profumatissimo… (ride)
Per me la corsa è quello sport che non dà adito a scuse. Che ci va? Esci e corri, non serve nulla. Corri e basta, quanto puoi. Per cui è lo sport più allenante che conosco.
– Mi racconti la tua passione per gli elicotteri?
La mia passione nasce da un progetto parallelo all’alpinismo. Volevo dare un Pay Back ai popoli delle montagne Nepalesi.
In quei luoghi non esiste soccorso elicotteristico, o è quasi inesistente. Sia per gli alpinisti come me, ma soprattutto per il popolo. Se una donna ha difficoltà nel parto, lì muore.
Ho preso la patente in Nepal, in Italia e negli Stati Uniti. All’inizio pilotavo per una compagnia locale, ma le condizioni erano difficili. Per far alzare l’apparecchio si doveva aspettare che il malcapitato assicurasse il pagamento. In Nepal le condizioni sono difficili e il rischio di far alzare l’elicottero gratuitamente è alto e significa fallimento per la compagnia.
Una volta ricevo una chiamata e capisco che è una donna di un villaggio che sta molto male. Il titolare ha cercato di farsi pagare, ma dopo qualche indugio io sono partito ugualmente. Sono arrivato tardi ed era morta, con il suo bambino che la stringeva ancora. E’ stato durissimo.
Ho deciso che avrei investito tutto per creare la mia compagnia.
Oggi ho la ALTITUDE AIR in Nepal, con un partner locale, una compagnia con due elicotteri miei.
In USA ho una scuola per futuri piloti, la ALTITUDE HELICOPTER, con altri due elicotteri e in Italia una terza compagnia, sempre ALTITUDE HELICOPTER.
Io piloto i mezzi e cerco di portare aiuti dove posso.
Purtroppo alle volte devo dire di no. In alcuni casi è troppo pericoloso e per salvare un uomo metterei a rischio la vita dei piloti – me compreso – e della compagnia stessa. Così ho dovuto imparare a dire no. E’ stato difficilissimo.
– Consiglia uno dei tuoi libri ai lettori di RunningCharlotte…
Di sicuro amerete quello che uscirà il 5 ottobre, del quale non posso rivelarvi ancora il titolo. Tratta alcuni argomenti comuni a runner e alpinisti: la motivazione, la resilienza, la perseveranza.
Oppure potete leggere l’ultimo, NANGA. L’ho dettato tutto via telefono perchè l’ho scritto ancora in loco.
Il più amato è, però, il primo, al quale sono molto affezionato, COMETA SULL’ANNAPURNA. Io lo amo moltissimo e di sicuro è il più venduto.
Io stasera inizio a leggere Cometa sull’Annapurna.