Libero sfogo di un giorno di pensieri e Covid19.

Stamattina sono uscita per provare ad andare a casa mia a prendere i documenti per chiudere la contabilità 2019 e staccare la caldaia. Sono notti che non dormo pensando alla caldaia accesa, alle tasse da pagare, al frigorifero “che se si è staccata la corrente come succede ad ogni temporale sarà un ammasso di muffe”. Poi penso che se è saltata la corrente almeno la caldaia è spenta e la bolletta del gas forse è salva.

Una notte agitata a scacciare la voce odiosa della paura “Ti fermano e ti fanno la multa. Ti pare urgente staccare la caldaia? E pagare le tasse? Se il frigo è già pieno di muffa? Magari ti fanno arrivare a casa, ma poi non ti fanno tornare indietro. Cosa gliene frega che oramai hai tutto lì. Bastava startene da sola già prima”

Sono tre settimane che non esco, né a correre né per altri motivi futili. Sono andata a comprare la frutta al mercato un paio di volte perché lo vedo dal balcone e quando mi accorgo che sta per chiudere e non c’è più nessuno esco, furtiva, quasi fosse un delitto.

Ho paura. Oramai questa è una sensazione che provo spesso. Ho paura delle muffe in frigo, delle scarpe da corsa lasciate a casa, paura che il mio copertone per i rulli non arrivi. Ho paura per mamma e papà che sono lontani, ho paura per quei 35kg di ossa che è mia nonna, imprigionata nella sua demenza senile che le rende un giorno uguale all’altro.

Agire

Esco, guanti e mascherina. Faccio per aprire l’auto. Non si accende, nulla, nemmeno la chiusura centralizzata funziona. Ovviamente.

Mi tengo le mie ansie e torno sù, fino al quarto piano del palazzo di Massimo. Non prendo l’ascensore e faccio le scale.

Ho fatto qualche allenamento sali e scendi sulle scale. E’ un metodo ottimo per fare un buon allenamento sopra soglia, valori di battiti cardiaci difficili da ottenere in casa. Eppure non mi piace, mi fa sentire in difetto.

Rientro e mentre Massimo lavora metto a lavare i vestiti, mi cambio. Isso malvolentieri la mia dolce massa – muscolare e non solo – sulla bici e inizio a pedalare. Dal balcone vedo poche persone, qualcuno mi guarda. Chissà come mi vedono da sotto? Una ragazza in maniche corte che ondeggia ritmicamente su una bici ferma. Sudata come dopo una corsa estiva.

Guardo Torino, guardo il mercato, osservo la gente. Oramai tutti indossiamo la mascherina, ma per strada vedo solo anziani. Anziani e grigio.

Ma perché girano solo più gli anziani? Perché si annoiano ? Perché i ragazzi fanno le lezioni online? Perché ai giovani hanno fatto una testa tanta sul non uscire che finalmente hanno capito?

Stanotte ho sognato che tornavo a casa, ad Aosta. Per una ragione a me sconosciuta, dopo 18 anni a Torino, se penso a casa penso ad Aosta. Eppure non sono mai riuscita a tornare.

Cosa cambierà “dopo”?

Leggo un numero considerevole di post e articoli sul “dopo”. Io stessa scrivo articoli sul dopo.

In mezzo a tutte queste paure, tra tutte le ansie, in tutto l’odio – mostruoso – che sta uscendo, l’unico pensiero che riesco a elaborare è che il “dopo” in qualche modo non esisterà o comunque non esisterà come lo abbiamo sempre pensato. Non torneremo a correre una gara ogni domenica, non torneremo a pascolare nei centri commerciali, non ci affolleremo più nei locali il sabato sera. Dovremo cambiare.

Per il dopo desidero qualcosa di diverso.

Il cambiamento è un momento fondamentale nella mia vita. Ogni volta che ho voluto attuare un cambiamento, la mia crescita è stata una conseguenza molto diretta. Ho cambiato vita, lavoro, pensieri. Non mi sono mai chiesta se stavo meglio prima, anche quando l’insicurezza mi ha fatta vacillare.

Questa volta il cambiamento non è una scelta, ma va sfruttato. Lentamente in questi giorni, slalomando tra le ansie, un pensiero sta diventando insistente come una goccia d’acqua che perde da un rubinetto: necessito di lasciare zavorre e legami inutili. Quello che mi rende veramente felice è spogliarmi del superfluo, un superfluo che questa epidemia mi rende evidente. Dove vorrei stare mi è molto chiaro, con chi starci anche. Cosa fare della mia vita altrettanto.

L’unico futuro possibile, l’unico “dopo” che sogno, è fatto di pochi oggetti e molte esperienze, di tranquillità, di solitudine alle volte e di natura. Di molta natura. 

Questo è il momento di interrogarci su cosa per noi è veramente importante, questo è il momento di agire per costruire il dopo. Solo da noi può partire quella forza che ci porterà al cambiamento. Me ne frego del quando. Anche in questo caso la questione sulla data di “ri-apertura” della società non è assolutamente importante, perché il cambiamento è qualcosa di lento. Non so quanto tempo ci vorrà per attuare questa rivoluzione, ma la dobbiamo fare. Quando ci diranno “bene, oggi potete uscire” non potremo ripartire come prima. Il Covid19 non sarà servito a nulla se una volta usciti torneremo a quello che facevamo prima.

Il “dopo” è solo nostro.

Nostro, proprio di noi che siamo ancora abbastanza giovani per ricrearci, di noi persone gentili, di noi attenti al nostro corpo, di noi che non abbiamo paura di cambiare.

Non so dire dove ci porterà questo cambiamento, ma se oggi io non penso a come cambiare, finisce che sbrocco e divento una di quelle migliaia di persone che inveisce su Facebook contro tutto e tutti.

Io oggi, tutti noi oggi, possiamo iniziare a capire chi vogliamo veramente essere.

Io sono e desidero essere una donna semplice.

Buona giornata a tutti.

 

RunningCharlotte
RunningCharlotte
Perché la corsa è uno stile di vita e ad ogni passo ci fa crescere un po’ e perché non bisogna essere campioni per correre, basta mettere un passo dietro l’altro. Keep in running.
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