Boston Marathon – La pazienza è la virtù dei forti e i forti corrono la maratona

Quando io ho una bubu-bibi, anche minuscola, un sospetto, una paurina, vado in ansia. Chiamo il dottore – solitamente chiamo quello di cui mi fido di più cioè mio papà – e prenoto immediatamente una visita.

Solitamente faccio esami pazzeschi per scoprire che non ho mai nulla.

Non ho mai avuto nulla (faccio le corna), mai rotta nulla, ma operata, mai preso mutua (quando lavoravo da dipendente), mi ammalo raramente, ho gli esami del sangue a prova di bomba. Sono andata dall’oculista poche settimane fa con il terrore di non vedere più bene a causa di chissà quale malattia neurologica per scoprire che probabilmente la mia vista è migliorata rispetto alle lenti a contatto che porto da anni.

Questa volta è stato diverso. Questa volta a farmi vedere non volevo andare proprio.

Sapevo che quella pinza che avevo sentito nel bicipite femorale non era “niente” e dal medico non volevo andare.

Invece sono andata a farla, la benedetta ecografia. E volevo solo sentirmi dire quello che mi dicono sempre “Carlotta, non si vede proprio nulla qui!”.

Luisa mette il gel, applica lo strumento, gira un po’ dove le dico che ho male. Eccola. Si vede nettamente. Non è nulla di grave, ma c’è.

Distrazione leggera del semitendinoso. Nessun versamento. Circa 1 cm e qualcosa.

Mi viene da piangere. Luisa mi consiglia di stare ferma per 15 giorni. Conto che ne sono passati già cinque e mi rincuoro.

Prenoto la tecarterapia dal fisio meglio che c’è.

Sto ferma e non faccio assolutamente niente. Da quando me lo ha detto mi sento una malata terminale.

Ho sempre avuto la tendenza ad esagerare le cose.

Ma io devo correre la Maratona di Boston, penso.

Ho il pomeriggio per riflettere e lo faccio. Penso a Boston, penso al traguardo e mi viene da piangere. Penso al tempo che volevo fare, che è un tempo che non sapevo ancora, ma voleva essere meno delle 3h12’40” di Milano.

So che ci devo rinunciare, o quantomeno devo mettere in conto che non posso farci affidamento e subito mi intristisco.

Poi ci penso ancora.

Piano piano l’ansia si scioglie.

Potrò correre la Maratona di Boston esattamente come mi sento.

Non dovrò tirarla, non dovrò guardare troppo il Garmin. Perchè non importa. Dovrò solo passare 42 chilometri con il mio muscoletto. Dovrò parlargli e chiedergli come sta e assecondarlo. Non dovrò fargli male, ma dovrò coccolarlo. Perchè non dovrà abbandonarmi prima dell’arrivo. E io non dovrò fargli male.

Dovrò correre senza nessuna ansia, ma solo con la passione che me lo fa fare. Solo per me. Io e il mio semitendinoso dovremo parlarci a lungo.

Ora mi devo prendere cura di lui e portarlo sulle strade di Boston. Lì, alla partenza. Dovrò accudirlo e se non se la sentirà di andare forte, andremo piano.

Ma andremo, io e lui. Io, il mio cuore e lui. Andremo a Boston.

Nella corsa, nella maratona, ci vuole pazienza. Non bisogna tirare trooppo la corda, bisogna rispettarsi e aspettare.

Perchè la maratona è un grande privilegio e bisogna onorarlo.

E poi, ce ne sarà sempre una dopo se ci rispettiamo. Se ora mi rispetto avrò sempre l’opportunità di correre anche la prossima e poi la prossima e poi la prossima ancora.

Chicago, Berlino, Tokyo, ma anche Pisa e un giorno di nuovo Gerusalemme forse.

Perchè è la pazienza la grande virtù che va sviluppata.

Vado dal fisio e vado con i sorriso. Boston mi aspetta, con qualsiasi tempo.

RunningCharlotte
RunningCharlotte
Perché la corsa è uno stile di vita e ad ogni passo ci fa crescere un po’ e perché non bisogna essere campioni per correre, basta mettere un passo dietro l’altro. Keep in running.
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Showing 2 comments
  • Denis
    Rispondi

    Forza campionessa le difficoltà ti faranno godere ancora di più quando taglierai il traguardo di Boston.

  • anna cinzia squicciarini
    Rispondi

    Andrai alla grande! Hai ancora tantissimo tempo 🙂 forza! Ci saro’ anche io, ben piu’ lenta di te.

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