MonferRun: Come il panorama influenza la corsa.
Chi mi conosce lo sa: io non amo le gare affollate. Odio il caos, odio la folla, amo i percorsi campagnoli, dritti, silenziosi.
Guai a sentire la musica correndo, guai a far avanti e indietro tra la gente, guai a chiacchierare: io mi chiudo nel mio silenzio e vado avanti, godendomi quella totale assenza di pensieri. Finalmente.
Noto, comunque, una relazione molto forte tra il luogo e la mia corsa. Ci sono luoghi dove sto inequivocabilmente bene e, inequivocabilmente, sono sempre gli stessi. I luoghi del cuore.
Ne ho uno per ogni faccia del dado, per ogni segno nel cuore, per ogni memoria felice. Come un balsamo sciolgono i muscoli, rilassano l’umore.
Casa, quella casa che è stata fuori dalla finestra di camera mia per 18 anni, la mia Valle, le mie montagne. La mia Aosta.
Poi c’è il mio mare, quello profumato di limoni della Costa Azzurra, quello che si infrange sulla passeggiata litoranea.
E infine i luoghi della memoria, quel Monferrato delle radici, quei campi di tufo grasso che odorano di zucchine panate, sugo di pomodoro cotto lentamente e torte alla marmellata. Quel Monferrato delle origini.
Ed è proprio quel Monferrato che ha sorretto le mie gambe domenica scorsa, quelle colline famigliari, quei profumi di antenati contadini e aie di galline e latrati di cani.
Quello.
Le origini…
Vi lascio al racconto della mia MonferRun: