Non chiamatemi Coach. Prediligo il buonsenso
Tra due giorni do un esame. Un esame da “tecnico” Fidal. Un esame che ringrazio, perchè io, di atletica leggera, ne sapevo veramente poco ed ora ne so un po’ di più.
Non so se lo passerò, ho studiato, ma potrebbe essere il primo esame della mia vita in cui resterò bocciata. Pazienza.
Perchè oggi so più di ieri e ne sono felice. So più di corsa, so più di crescita, so più di allenamento, so più di tecnica.
Ma se nessuno potrà chiamarmi “coach” non importa. Io non sarò mai un coach, nemmeno se supero l’esame.
Ho abbastanza umiltà per sapere che tra me e un allenatore manca molta strada, strada che forse avrò l’onore di fare, forse no. Ho abbastanza umiltà, in questo mondo di tuttologi, per essere felice di aver ancor molto da imparare.
Il running, disciplina molto diversa da quelle codificate dell’atletica olimpica, è uno sport in cui l’improvvisazione ed il dibattito la fanno da padroni. Nella mia non lunghissima vita da tapasciona, riconosco poche persone che desidero chiamare allenatori per il podista, “coach”: due bazzicano i parchi torinesi, uno ha tempi in maratona da far impallidire i nostri giovani virgulti, l’altro si impegna e si sbatte così tanto (con ottimi risultati) che tra pochi anni sarà il re dei master torinesi.
In mezzo: improvvisazione, teorie, pratiche “a tentoni”, illusioni.
Quando mi si diceva “tutti vogliono allenare e nessuno sa”, io da ignorante in materia comprendevo poco. Ora mi accorgo che la regina dell’allenamento è la tabella, la teoria del training è frutto dell’esperienza personale, la regola del “secondo me” una norma.
Ho avuto molto da riflettere sul tema, d’altronde faccio la Running Motivator. Mi è stato chiesto di preparare qualcuno, ho rifiutato. In realtà mi piacerebbe, ma non è il mio ruolo. Io, come tutti i Running Motivator, accompagno le persone che iniziano a correre, ma come dice il nostro codice etico non sono per loro un allenatore.
Li prendo per mano, come mi sento di fare, e li accompagno. Quando e se ne avranno bisogno, do loro il telefono di chi considero un vero coach.
Essere consapevoli della propria ignoranza è un limite. Qualcuno, desideroso di consigli “pret-à-porter” senza dover andare da un professionista, potrebbe rimanere deluso. Non chiedetemi cosa mangiare, nè una tabella, nè consigli su sospetti infortuni. Non vi risponderei.
Non chiamatemi coach. Non ora. Forse un giorno lo sarò, ma per ora lascio questo meraviglioso mestiere a chi ne sa più di me.
DIFFIDATE DALLE IMITAZIONI 😉 Qui solo fatica e sudore sono moneta accettata!
(se non passerò l’esame credo sarà colpa del Salto Triplo…)