Una Principessa alla Milano Marathon – Maddalena alla Corsa del Principe
Alla Sojasun Verdi Marathon dovevo finalmente conoscere di persona Maddalena, la terza principessa della Emporio Armani Milano Marathon.
Con Carla ci vediamo spesso a Torino, Gloria l’ho conosciuta a Napoli alla Mezza Maratona (leggi qui la Napoli Half Marathon di Carla e Gloria ).
Maddalena sapevo che avrebbe corso la Corsa del Principe, gara di circa 29 km all’interno della Sojasun Verdi Marathon.
Purtroppo un infortunio mi ha lasciata a casa, al caldo delle mie coperte, mentre Maddalena è andata a farsi onore, correndo per molti chilometri sotto neve e vento.
Così le ho chiesto di raccontarci la sua Sojasun Verdi Marathon – La Corsa del Principe
Ieri ho corso per 29 km al gelo, alla Corsa del Principe, tra Salsomaggiore e Soragna. Doveva essere un bel lungo, uno degli ultimi prima della EA7 Milano Marathon dell’8 aprile, uno di quei lunghi che corri in scioltezza, con un bel dislivello negativo, tutto dritto, per provare le gambe e il ritmo. Per me, abituata alle corse in collina, tra vigne e campi, doveva essere una pacchia. Pregustavo quei 29 km da un paio di mesi. “vedrai – mi dicevo – quando correrai in pianura, bello dritto, bello piatto…”
In effetti la Corsa del Principe è proprio dritta. Ed è bella piatta. E’ anche un po’ in discesa, seppur di poco. Le previsioni non erano delle migliori, per dirla con un eufemismo, l’ondata di gelo siberiano che avrebbe colpito il nord Italia proprio il giorno della gara avrebbe portato il temuto Burian, il vento artico, con forti raffiche e temperature al di sotto dello zero.
Ma insomma, pensavo, ‘”sto Burian mi fa un baffo, corro regolarmente sotto zero per dei mesi, con la neve e la pioggia, ora vai a vedere che non si può correre per il freddo!”
Il sabato pomeriggio a Salsomaggiore ci sono 14°, un bel sole, nemmeno una nuvola. L’umore della compagnia è buono, le ragazze del gruppo emozionate ed eccitate, perfino Monica, che avrebbe corso la maratona, era serena: non è la prima che faccio, non sono preoccupata.
La mattina dopo, alle 6:30, è apparso subito chiaro che avremmo corso con Burian: neve orizzontale e alberi piegati non lasciavano dubbi su chi era più forte. Ho cominciato ad essere un filo preoccupata. Nonostante gli strati addosso è come essere nudi. Il vento si insinua nel collo, tra i capelli, tra le cuciture dei leggings, sotto la fascia, nel naso. Guardo il termometro di una farmacia, -1°: eppure non è freddo.
Le strade sono deserte, ci siamo solo noi, quelli della corsa, imbacuccati e intirizziti, con gli occhi spalancati dalla preoccupazione. Incontro le altre, ci rifugiamo al caldo degli spogliatoi. Ridiamo e scherziamo, accenniamo “La guerra di Piero” (“Così dicevi ed era inverno e come gli altri verso l’inferno, te ne vai triste come chi deve, il vento ti sputa in faccia la neve”), scattiamo selfie ai nostri visi e alle nostre stupende calze nuove, decorate con cuori multicolori, ma è ovvio che faremmo di tutto pur di non rispondere all’unica, vera domanda: ce la faremo?
Usciamo dagli spogliatoi e ci avviamo corricchiando alla partenza. Burian ci fa a fette, la neve ghiacciata punge il viso in mille aghi, intorno è tutto bianco. Ci facciamo coraggio e partiamo.
Questa è una gara di testa, se lascio spazio alla paura è la fine. Coscientemente decido di neutralizzare sul nascere tutti i pensieri negativi:
“fa troppo freddo per stare all’aperto”- “non è vero, ho sciato mille volte a -20° e non mi sono mai ammalata”;
“ti verranno i crampi” – “ma no, ho le calze a compressione e una foresta di banane in corpo”;
“il freddo che ti soffia da 10 km nell’orecchio destro ti farà venire l’otite” – “ma smettila, basta tirare su lo scaldacollo”;
“rallenterai, ti fermerai, cadrai in un fosso e ti troveranno al disgelo” – “Aria sottile” ti ha rovinato, devi smettere di leggere i libri sulle spedizioni himalayane”
Sembra funzionare. Usciti dal paese siamo in aperta campagna, una terra piatta e bianca, sferzata dal vento. Devo tenere la visiera del cappello per non farlo volare. Non si sente un rumore, a parte lo stropiccìo dei pettorali e delle coperture in plastica. Guardo la fiumana colorata che procede scalpicciando davanti a me: mi chiedo se è questo quello che si dice essere umani, affrontare sé stessi, le proprie paure, i propri limiti in un giorno così senza alcun motivo valido.
E poi a un tratto Verdi: nell’aria esplode il Rigoletto, la voce del soprano acuisce ancora di più il freddo, il tutto diventa ancora più surreale. Il bianco opaco della campagna, il vento gelido, la neve in faccia e questi enormi altoparlanti che sparano le arie di Verdi a tutto volume!
Siamo al 10° km, un po’ di tregua dal vento protetti dalle case del paese, passiamo un tunnel che odora di canfora, torniamo in aperta campagna.
Capisco che l’unico modo per andare avanti sono i “piccoli pensieri”: mi concentro sulle mani, sgranchendo le dita, sul viso, massaggiandomi le guance, leggo tutte le scritte su tutte le giacche che ho intorno. Non vado oltre al momento che sto vivendo. Ora. Adesso. Ora. Adesso. Non c’è domani, non c’è ieri. Non c’è avrei potuto, sarebbe stato meglio. Ora. Adesso. Anche questo sembra funzionare.
Al 21° c’è l’arrivo della mezza: saluto parte dei compagni, mi trovo sola. Ok, mi dico, ora devi tenere botta. Usciamo da Fontanellato, il vento stavolta è sulla sinistra. E’ una tortura impietosa, ma non voglio mollare: ne mancano 8, vai avanti, solo 8, che saranno mai 8 chilometri? Al 23° mi fermo a bere un tè caldo, mi affianca un tizio che corre al mio ritmo: maratona o principe? Lui fa la maratona, perfetto, questo non lo mollo. Proviamo a parlare ma sembriamo ubriachi: le parole sono impastate, la bocca non si muove, mi viene da ridere ma non ci riesco.
Ci raccontiamo due cose, riesco a dirgli che correrò a Milano, gli dico del progetto di Carlotta. E’ contento, mi incoraggia, penso che forse ci sta provando, non mi interessa, ha un ritmo buono, non voglio perderlo.
Al 25° faccio un check: gambe presenti, fiato presente, testa mezza andata ma presente. E’ fatta, dai che ce la fai, dai che arrivi, sento le endorfine che inondano finalmente il cervello, trattenute fino a quel momento, vorrei accelerare ma sono congelata, ho le gambe di legno.
Al 27° vedo il campanile e il cartello SORAGNA. Marcello, il mio compagno di Burian, ne ha ancora più di 10. Non lo invidio, non oggi. Entriamo in paese, vedo il gonfiabile e mi ci fiondo ma i volontari a suon di grida mi fanno svoltare verso il palazzo del principe: entriamo in una dimora reale, proprio dentro, tra specchi e arazzi e tappeti, ma che meraviglia! Usciamo sul retro e finalmente!
Il gonfiabile. Arrivo.
E’ stato tremendo e bellissimo. Mai, nella vita, ero scesa così in fondo a me stessa, ma avevo visto così da vicino i miei demoni: la paura di non farcela, quella di arrendermi, quella di stare male. Abbraccio le mie amiche, mangio, bevo almeno 3 bicchieri di tè e sali.
Una menzione speciale va a Valeria, Monica, Chiara e Luca compagni carissimi e amici di corsa senza i quali oggi sono sicura avrebbe vinto Burian.