Quella gioia idiota che mi regala la corsa.

Idiota viene dal latino. Gli idiotes erano le persone prive di istruzione. Ignoranti.

Questo è l’aggettivo che meglio si applica alla sensazione di quando taglio un traguardo di una gara. Una gioia idiota.

E’ una gioia senza istruzione. Senza premeditazione, del tutto spontanea, e alle volte, visti i risultati non eccellenti, anche immotivata.

E’ una gioia pura e pulita.

Come avviene in un bambino piccolo. Pensate ad un infante. Non è certo istruito, nessuno gli ha spiegato come e quando esprimere i sentimenti, non conosce galateo, si esalta per attività del tutto idiote, appunto. Come defecare, come guardare una faccia buffa, come assaggiare un giocattolo, o la sabbia.

Quando passo un traguardo sono esattamente come quando avevo un anno e trovavo incredibilmente emozionante mangiare la terra.

Lo sento arrivare in lontananza, il traguardo, e il cuore inizia a battere in controtempo. “Stupido cuore, non battere così ora che mancheranno ancora cinque minuti e se batti così io schiatto!”

Inizia l’emozione e si alterna con la vergogna dell’emozione. Vergogna? direte voi. Pensateci bene, ritornate con la mente ai vostri tre anni e a quel senso di vittoria di essere riusciti finalmente a fare la vostra magica pupù nel contenitore giusto (vasino o mini water che fosse).

Io ricordo quel senso di compiutezza e ricordo anche la vergogna, subito dopo. Ce la inculcano fin da bambini, la vergogna di aver fatto qualcosa di giusto.

E allora vi pentivate di averlo detto troppo ad alta voce, come quando prendevate un 9 a scuola (magari non vi è mai successo).

“Evvai che ho preso 9!!!!” e un attimo dopo il desiderio di stare zitti vi assaliva.

Ma torniamo al traguardo.

Quando si avvicina e il cuore inizia a fare il bongo nel petto. Poi la vocina che vi dice “shhhtttt…. non è ancora fatta”, infine il tappeto e l’arco e poi….. uaaaaaaaa!!! Alziamo le braccia al petto e urliamo.

Una gioia idiota. Ignorante appunto. E totale, bellissima, stupefacente.

Un giorno un signore mi ha detto di non alzare le braccia all’arrivo, perchè non è professionale. Io non riesco, mi ci lancio, sull’arrivo. Avessi la forza alzerei anche le gambe, non solo le braccia.

E poi c’è la gioia di correre e basta, senza gare e senza traguardi.

In questo caso l’ignoranza è totale, perchè non c’è nemmeno nessun valido motivo di essere lì a correre, figuriamoci esserne contenti! Che poi fuori ci sono due gradi sotto zero, o magari trentacinque sopra, che poi è umido e piove, che poi tutta sta fatica per niente.

Cosa c’è di più idiota di questo? Essere felici di fare fatica in condizioni così poco seducenti.

Vogliamo parlare della gioia di correre su un sentiero nel bosco? Qualche settimana fa sul sentiero 16, sulla collina di Torino, c’era così tanto fango che non riusciva a stare in piedi eretta. Le scarpe (nuove) erano ricoperte di melma. A dire il vero lo erano anche i pantaloni. Nel fango, impronte di cinghiali e davanti a me ancora venticinque chilometri da percorrere con il solo ristoro autogestito di una appiccicosa barretta di proteine gusto cioccolato e sabbia.

Poi d’un tratto un rumore. Ecco, lo sapevo, i cinghiali! Invece a saltare di fronte a me erano due cervi dal codino bianco. A Torino.

Ed io che sorridevo beata e idiota, sprofondando nel fango grasso. Nulla poteva turbare quella gioia.

E la gioia della ripetuta ben riuscita?

Ah, qui proprio sfondiamo di testa il muro dell’imbruttimento da GPS.

Clicchi sul pulsante e parti, a manetta. A metà ripetuta senti già salire la nausea dell’acido lattico. Un dolore caldo e letale alla bocca dello stomaco che si irradia nel torace. Le gambe pretendono di rallentare, ma la testa comanda e muove e nulla rallenta.

Fino a quando ri-schiacci il pulsante e ti fermi, rantolante, nauseata, le gambe tremanti, lo stomaco che parla una lingua sua della quale capti solo un significato: “vaffanculo”, dice. Ma guardi l’orologio ed ecco il numero vincente che manco al lotto sei così emozionato. La tua ripetuta più veloce.

Allora esplodi da dentro, da solo al parco o al campo di atletica, dove se ti va bene sei attorniato da quindicenni che non gli stai dietro manco se accendi dieci ceri alla madonna e ti guardano come un “matusa”. Ma non importa, sei felice, felice senza cognizione.

Una gioia idiota, appunto.

Parliamo poi della Maratona, della gioia idiota della Maratona.

Cosa c’è di più totalizzante e incomprensibile di una maratona corsa da un amatore?

Non vinceremo mai, questo è (quasi) certo, ma continuiamo ad iscriverci a questa gara massacrante della quale non riusciamo a godere che i primi chilometri. Poi è soltanto un susseguirsi di fatica e resistenza.

Molto spesso i percorsi non sono nemmeno così belli: a parte New York, in molte città la maratona esce e va in periferia dopo cinque o seimila metri, per ritornare in centro negli ultimi cinque chilometri. Il resto è solitudine, desolazione e asfalto, asfalto e ancora asfalto.

Ma noi ridiamo, sorridiamo, siamo felici. Se poi passiamo alla mezza nei tempi previsti, pensiamo alle corone di alloro metaforiche che ci aspettano all’arrivo, dimenticando che il duro arriva negli ultimi dieci chilometri, non nei primi venti. E continuiamo a crogiolarci nel nostro calderone di felicità immotivata.

Quando arriviamo l’emozione è totale. Magari siamo arrivati trentamillesimi in una manifestazione internazionale. Nessuno si ricorderà di noi e della nostra fatica, siamo uno dei cinquantamila podisti lenti e moccicosi e puzzolenti che sono arrivati.

Ma noi siamo felici.

Questa è la gioia idiota di correre.

Una gioia che ignora.

Ignora i confini, ignora la logica, ignora i limiti, ignora le differenze.

Una gioia che ignora tutto ciò che è sensato, ma che conosce benissimo ciò che rende la nostra vita migliore.

RunningCharlotte
RunningCharlotte
Perché la corsa è uno stile di vita e ad ogni passo ci fa crescere un po’ e perché non bisogna essere campioni per correre, basta mettere un passo dietro l’altro. Keep in running.
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Comments
  • Armando
    Rispondi

    Complimenti,
    Scrivi molto bene i sentimenti che vengono provati giorno per giorno da chi corre consapevolmente;
    Buona corsa
    Armando.

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