La storia di Patty ovvero il potere della volontà.
Patrizia io l’ho conosciuta per caso, qualche anno fa. Io iniziavo la mia storia di blogger e lei iniziava la sua storia di runner. Voleva correre, la sola cosa che voleva Patrizia era correre. Mi scrive in occasione di Just The Woman I Am, la manifestazione che Torinodonna dedica all’8 marzo, una corsa nel centro cittadino di 5 km e mezzo.
Patrizia è entusiasta e si iscrive nel mio gruppo. Io in quel momento stavo attraversando un periodo in cui la mia forza di volontà vacillava, lei aveva appena ripreso in mano la sua vita.
Quando, finalmente, la conosco, trovo davanti a me una donna sulla cinquantina dai folti capelli neri con la frangia e gli occhi blu, una donna che di “podistico” ha poco. Arriva alla corsa con una fascetta in testa, truccata, con i capelli perfetti, sorridente, qualche chilo da mettere giù e una grinta che fa quasi paura.
Ci sono alcune donne che, superata l’età della bellezza giovane, iniziano a risplendere di una forza che viene dal passato.
Patrizia, quando ti guarda, vedi tutto quello che ha dietro.
Moglie devota, madre amorevole e figlia paziente, gli ultimi anni, forse gli ultimi decenni, Patty li ha spesi per gli altri, mettendosi un passo dietro.
Poi, arriva il tempo dell’età matura, arriva la pensione, arriva l’età adulta dei figli. E arriva il tempo per se stessa. Finalmente.
Così, Patty comincia a correre. Pensa a quello che le piaceva fare da bambina e ritrova le immagine delle campestri delle scuole medie, sepolte nella sua mente.
Inizia così, provandoci, con tutta la grinta che ha, come un bel regalo che ripaga tutti i suoi sforzi.
Fino a quel giorno, fino alla prima maratona, nel 2015, Torino.
Patty la chiude intorno alle cinque ore, la più “anziana” del suo team e da lì inizia a sognare in grande, sogna un regalo grandissimo. Sogna New York.
Si consulta con il suo massaggiatore e osteopata e prende il coraggio di iscriversi. Il suo team di corsa la supporta, i suoi coach la aiutano a stendere un piano d’allenamento.
Patrizia corre tutti i lunghi da sola e ogni volta mi manda un resoconto WhatsApp, quasi a farmi partecipe di quell’impegno, quasi sovrumano. 30, 32, 35, 38 km tutti da sola, in piena estate.
Il marito la supporta. Lui, per niente sportivo, cerca di accompagnarla in bici, ma desiste a metà della prima salita. Allora le fa i ristori in auto sul litorale della Costa Azzurra: ogni 5 km ferma l’auto e aspetta sua moglie, che imperterrita continua la sua corsa.
Patrizia non ha un corpo plasmato dallo sport, ma ha una mente che non molla mai.
Negli ultimi mesi segue integerrima la dieta della sua nutrizionista (che poi è anche la mia) e perde più di quattro chili. Patrizia non sgarra, vuole quella medaglia.
Mi ritrovo a pensare che se tutti noi avessimo la stessa forza di volontà di Patrizia, allora il mondo sarebbe diverso, sarebbe migliore.
Arriva il giorno della partenza per New York.
Patty trema di emozione. Non è mai stata al di là dell’oceano e NY la affascina. Non conosce la lingua, ma si studia alla perfezione la mappa per non perdersi e fare brutte figure (queste sono parole sue). Una città nuova, una maratona che tutti dicono la più bella del mondo, LA maratona, un volo che attraversa i continenti.
La sera prima del grande giorno tutti i runners sfilano con le bandiere del proprio paese e anche Patty è lì in mezzo, sotto il tricolore. Sotto ad un sogno.
Alla partenza è serena e parte bene, fino al 24esimo chilometro mantiene una media per lei soddisfacente, una media che le permetterebbe di chiudere la distanza sotto le 5 ore.
Poi il dolore la pervade. Prima il piede, poi una lama all’altezza della bandelletta ileotibiale la costringe a fermarsi.
Mancano ancora 18 chilometri, tantissimi. Il dolore è forte, ma, dopo qualche passo, Patty ha un solo pensiero: arrivare alla fine. Molti di noi avrebbero lasciato perdere, si sarebbero ritirati. Lei no.
Detto in parole povere: se ne frega. Se ne frega del piede, della fatica, del dolore, della bandelletta. Se ne frega. Rallenta per non farsi male e continua. Non potrà ritentare New York e vuole quella medaglia per la quale ha tanto faticato.
Arriva al traguardo in 5 ore e 16 minuti.
Tantissimo… ma poco importa.
Patrizia arriva a quel traguardo. In barba a tutto e tutti, a 56 anni lei taglia il traguardo ed è felice. Punto.
Chiamatela come volete: folle, tapasciona, illusa… Per me è una maratoneta.
Forse considero più maratoneta lei di me. Patrizia ha dato tutto per la corsa, ogni filo di energia.
Arrivata al traguardo le dicono che per tornare all’hotel deve prendere la metro, ma il piede le fa così male che non riesce a scendere le scale, quindi decide. va a piedi, tanto ha studiato tutta la cartina e sa esattamente dove andare.
Cammina per 4 chilometri, arriva in hotel per ultima.
Il giorno dopo le dicono che è prevista la salita alla Statua della Libertà. E quando le ricapita? 436 gradini a salire e lo stesso numero a scendere.
Scatta una foto in cima.
E’ felice.
Patrizia è una delle poche vere maratonete che conosca.
Appuntamento a Londra 2017!