Un assaggio di trail: Cortina Skyrace
Ok, l’ho fatto. Finito, corso, portato a termine, arrivata. 20km e 1000m D+ per chi corre in montagna per davvero non sono niente, per me erano una prova vera.
Ho “accettato la sfida” perchè sapevo di potercela fisicamente fare e perchè le Dolomiti sono da sempre una meta che adoro, ma francamente non pensavo di poter amare il trail running. La montagna sì, la corsa in montagna invece era un’incognita.
Il timore più grande era quello di non ritrovare ciò che amo di più: la montagna romantica e contemplativa alla Maurizio Corona e la velocità di una corsa su strada.
Ma avevo torto.
Ecco il racconto del mio assaggio di trail.
Cortina io l’avevo vista senza Lavaredo Ultra Trail: distinta, elegante, impettita Cortina. Cortina che mette soggezione, Cortina che mi chiedo che ci sto a fare io vestita così, Cortina di tradizioni ladine e accento milanese, Cortina di negozi scintillanti, Cortina di tramonti rosa sui rifugi che vedi da valle. Cortina che scia su piste perfette, Cortina di cappelli di pelo di ermellino e pantaloni alla zuava, Cortina da film di Vacanze di Natale con De Sica.
Lasciate quell’immagine al passato, ora Cortina è trail running. Banditi gli abiti civili, la ragazza con i sandali eleganti squadrata come un’aliena, Cortina si trasforma in un caleidoscopio di abbigliamento tecnico. Il trend è il giallo lime per gli uomini, il corallo fluo per le donne e il turchese per entrambi i sessi. Ma la variazione sul verde menta è lì in agguato.
Occhiali specchiati e zazzere di capelli incolti con barbe annesse.
Mi sento a casa.
L’Hotel de la Poste mi accoglie come il passato accoglie il presente: cigolante nelle sue boiserie accoglie i muscoli provati degli atleti con incuriositi sorrisi. Io qui sono “madama Montanera” che poi, come dice il concierge, Montanera è la crasi tra “Montagna” e “Nera”, l’incubo del runner. Simpatico il concierge.
Mi trovo senza pensarci alla partenza della Cortina Skyrace, sotto un sole che mi asciuga la gola e il sudore. Ci sono quasi 30 gradi. Sono le 17.
Partono e io li seguo, quasi che non dovessi correre la gara anche io.
I primi chilometri sono di avvicinamento. Io da mappa ne avevo contati, o forse sperati, 5 di falsopiano, ma non sono brava con le isoipse – o curve di livello – che attraversano le carte topografiche e infatti sbaglio perchè sono solo 3. Dopo inizia la salita.
Arranco per 2 chilometri, mi bruciano i polpacci come se un cane mi stesse mordendo. Non mi sono scaldata per non patire troppo il caldo e ho fatto male.
Poi i muscoli si sciolgono e iniziano a lavorare. Sono partita dietro, timorosa di intralciare gli altri, ma sono gli altri che intralciano me perchè vado su bene, meglio di loro.
prima regola in un trail: cerca di non partire indietro se la salita inizia subito. Ti ritroverai in coda dietro agli altri senza riuscire a superarli
Insomma, in questa salita vado su bene. La stanchezza passa e i muscoli spingono.
Il bello della salita è che ti puoi guardare intorno, hai tutto il tempo per farlo, se non la forza.
Saliamo e la Dolomite mi rapisce: sono quasi le 18 e il sole cala, la luce si fa calda e rosa. Le montagne sono stupefacenti.
Un tratto in piano mi fa ritrovare brillantezza e corro godendomela come una bambina.
Fino alla salita successiva. Davanti a me ragazzi più giovani di me imprecano. E’ una forcella dotata d sentiero a zig zag, esempio da manuale di salita in queste montagne. Non mi fa paura, mi sento bene, a casa. Mi piacciono le salite impervie, il mio corpo è abituato a questa fatica e mi supporta.
Ritrovo per quasi mezz’ora la mia montagna contemplativa, quella che ti fa sentire un mulo da soma, forte e lento, sereno, tranquillo… ecco, in salita trovo la calma profonda e ritrovo me stessa.
Arrivati alla Forcella Zumeles il panorama è superbo: montagne perfette, boschi incantati, rocce arrossate dall’incipiente tramonto.
Mi fermo e fotografo. Mi dicono da dietro che molti mi superano così! Rispondo che io in montagna non vado di fretta.
seconda regola in un trail: non partire pensando di fare un’impresa eroica e non correre pensando alla sola fatica. Guarda dove sei e ringrazia di poterci essere. Prenditi il tuo tempo. Marco Gazzola quando ha vinto i TDG si fermava a far foto. Gli chiedevano se non temeva di perdere la gara. Lui rispondeva che era troppo bello per non fotografarlo.
Iniziamo la discesa e scopro una verità su di me che non immaginavo. Sono forte in salita. Sono una frana in discesa. Ho curato la tecnica in questi ultimi mesi: peso a valle, non frenare, lasciati andare, rotola giù, lascia le gambe morbide e non avere paura.
Niente.
Mi superano tutti.
Ma almeno non cado come il mio solito. Prima di partire in più di uno mi hanno pregato di provare a non cadere… Io cado sempre. Ora no.
Un prato in pieno solatio dotato di mucche che ruminano lente mi commuove quasi.
Passiamo da una malga che odora di latte e di caglio.
Mi sento in una culla, amo questo ambiente. Amo poterlo correre.
“ma non è che mi sta piacendo il trail running?”
Arriviamo in Cortina e prendo il LA: bambini mi danno il cinque e io mi sento Heidi. Mi mancano le trecce, le lentiggini ci sono e il sorriso beato anche.
Vado giù veloce, manca meno di un chilometro.
Entro in paese trionfante, la gente applaude, io mi sento felice e corro per la volata finale. Inizia la via centrale, corro forte e…
CADO.
A 100 metri dal traguardo cado rovinosamente sul pavè.
terza regola in un trail: mai dare nulla per scontato. E mai pensare che l’impresa sia arrivare in cima. Manca ancora tutta la discesa.
Il concorrente dietro mi rialza, i turisti applaudono.
Vabbè, se non altro mi sono sbucciata solo un ginocchio.
Taglio il traguardo 19 minuti prima di quanto avessi ipotizzato. 2h41 sono 21esima, almeno non ultima.
Ne vorrei ancora.
Sono felice, mi sento serena. Noli me tangere direbbero i Latini.
Noli… e se il prossimo trail fosse al mare?