Un salto nella storia di Reebok: in visita al Head Quarter di Boston

Boston è la città di tante cose.

Della maratona dei miei sogni, dell’Indipendenza Americana, della storia statunitense, della cultura…

E Boston è anche la sede centrale di Reebok.

Da gennaio di quest’anno ho l’onore di far parte del team Reebok Running ed essendo a Boston ho cercato di andare a mettere il naso dove le idee creative del mio team prendono vita.

Io e Francesca abbiamo incontrato Nicholas al primo piano di questo building ai dock di Boston, sede del Boston Design Center.

Un parallelepipedo in perfetto stile portuale, di mattoni con grandi finestre. Di fianco la darsena che ricovera tutt’ora i mercantili e i carichi in arrivo. Un recupero architettonico puro e luminoso, che apre grandi tagli di luce negli spazi interni, chiari e alti.

Saliamo al primo piano del building dell’head quarter Reebok, passando allo store al piano terra ed entrando in un grande ascensore sulle pareti del quale campeggia una ragazza in fase di training. Io ho appena corso la maratona e mi sento una signora anziana che fa fatica a deambulare.

Nicholas ci mostra dapprima la palestra.

Tre piani dedicati al crossfit e ai corsi di yoga, pilates, functional training, un’infilata di treadmill a spinta meccanica mi attraggono. Un peccato avere l’elasticità di pezzo di legno. Mi viene voglia di provare qualcosa.

La palestra è destinata ai dipendenti e ha un meccanismo di incentivazione al fitness interessante: chi la vuole usare paga una quota mensile, che però viene azzerata se frequenta per più di 10 volte la palestra. Insomma se la prendi sul serio, l’azienda ti prende sul serio.

Saliamo negli uffici.

Ampi open space disseminati salottini, scrivanie, monitor per i designer, e poi sale da pranzo, sale da riunione digitalizzate, laboratori di sartoria per provare i modelli appena ideati, sale test scarpe – una macchina dai tanti piedi testa ogni modello per chilometri e chilometri, tutto in 20 metri quadri – una mensa, altri tavoli, altre poltrone.

Non esiste un ufficio fisso. Tutti possono lavorare dove vogliono. Possono scegliere in base agli appuntamenti della giornata quale postazione sarà più utile per il loro lavoro.

Nicholas parla della sua azienda con affetto.

Ci mostra il futuro prossimo di Reebok Running. Mi emoziono.

Quelle che ha in mano sono le scarpe per la mia prossima maratona. Le amo già.

Ci trasferiamo in una sala riunioni, dove incontriamo il team creativo Reebok Running.

Parliamo di storia del brand.

Oggi noi siamo abituati a collegare Reebok al Crossfit e al training principalmente. In realtà le cose sono molto diverse.

Reebok nasce nel 1895 con il nome di J.W. Foster and Sons producendo scarpe per l’atletica leggera.

Prendiamo in mano i primi modelli dai chiodi lunghi un paio di centimetri. Alle mani ci fanno indossare dei guanti. Teniamo tra le dita la storia di un brand.

Le scarpe sono fatte a mano, sono inglesi. Le guardo e immagino dei ragazzi pallidi in braghine che corrono la campestre del momento indossando quegli scarpini in cuoio leggero.

Reebok affonda le sue radici nella corsa come quelle scarpe hanno affondato i chiodi nei prati dell’Inghilterra inizio ‘900.

Il primo atleta-vip che le rese famose risale al 1924, Harold Abrahams usò le scarpe della J.W. Foster and Sons per i suoi vittoriosi 100 metri alle Olimpiadi di Parigi.

Allunghiamo il passo e arriviamo al 1958, quando la J.W. Foster and Sons diventa ufficialmente Reebok.

Il nome deriva dall’afrikaans grey rhebok, un’antilope tipica del Sudafrica.

Con un salto triplo carpiato approdiamo negli anni ’80.

Abbandoniamo il cuoio, per arrivare ai materiali sintetici e ai tessuti, alle suole in gomma e ai colori vivaci. E abbandoniamo anche l’esclusiva dell’atletica.

Sulla scena sportiva compare il fitness, l’aerobica, il training.

Poi il basket.

L’azienda varia la produzione, la allarga, esplora nuove frontiere.

Ecco le ERS, le HEXALITE, poi le DMX, le prime scarpe con ammortizzazione ad aria su tutta la suola, poi i gel. Per arrivare alle celeberrime Reebok Pump che si gonfiavano chiudendosi sul piede e aumentando e diminuendo l’ammortizzazione.

Modelli futuribili, colorati, se devo dirla da designer, SOVRADIMENSIONATI.

Incredibilmente innovativi.

Quello che si percepisce dalle parole che sto ascoltando è un costante desiderio di pensare “out of the box”.

Fino ad arrivare all’oggetto feticcio, le scarpe di Shaquille O’Neill, le Shaq Attaq: numero 59, le scarpe dell’icona del basket NBA sono esagerate.

Da lì l’alternanza basket e fitness ha posizionato Reebok sempre un passo a fianco al mondo del running.

Modello delle celebri Ex-O-Fit Hi ispirate a Ghostbusters, lanciate in occasione dell’uscita della seconda serie di Stranger Things

Quel desiderio di innovare sempre rimane ai margini del mondo running fino al 2017, con il lancio della suola FloatRide, quelle delle mie scarpe da corsa, quelle scarpe che mi hanno accompagnato a Boston e che ho imparato ad amare proprio per il loro approccio completamente diverso al running.

La volontà di Reebok oggi è quella di rientrare con il suo spirito innovativo nel mondo del running a piè pari.

Durante questa visita ho avuto modo di vedere quale saranno i prossimi modelli, so anche quale sarà la scarpa con la quale correrò la maratona autunnale e ne sono già innamorata.

Le parole d’ordine sono leggerezza, flessibilità e allegria. Sì, allegria, perchè durante tutta la visita quello che ho percepito maggiormente è l’allegria con cui vengono affrontate le sfide da ogni singolo membro di questo team.

Ho percepito entusiasmo, orgoglio, desiderio di andare oltre, di innovare e rinnovare.

Quello che non ho percepito è la ricerca del risultato fine a se stesso, della performance del prodotto senza anima.

L’entusiasmo dell’innovazione è tutto volto a “far stare meglio il runner”. Non solo quello forte, non solo andando più veloce, ma correndo meglio, stando meglio, dandogli la possibilità di correre di più e più serenamente, di apprezzare la corsa per quello che è.

Non vedo l’ora che sia il momento della prossima Ragnar Relay in Europa.

Cos’è?

Questa è tutta un’altra, bellissima, storia, che vi racconterò tra qualche tempo.

RunningCharlotte
RunningCharlotte
Perché la corsa è uno stile di vita e ad ogni passo ci fa crescere un po’ e perché non bisogna essere campioni per correre, basta mettere un passo dietro l’altro. Keep in running.
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