Ushuaia by UTMB, “trail running para compartir”
Penso che alle volte la lingua italiana non renda coì bene l’idea.
Arrivata ad Ushuaia, dopo più di 48 tra aeroporto e nervoso, le vetrine dei ristoranti in lamiera rimandavano tra i riflessi degli schizzi di pioggia una frase ricorrente: “comida para compartir”, “cibo da condividere”.
Mi fa impazzire questo modo di parlare di condivisione, “para compartir”. Mi fa venire in mente una bella tavolata di amici, che godono del cibo, insieme, ridendo, dando sfogo al proprio essere in sintonia.
Com-partir, fare in parti. “Condividere” mi pare riduttivo al confronto.
A questo pensavo durante i 50 km (ridotti a 43 causa maltempo fuori-stagione) della Ushuaia by UTMB.
Ho vissuto le ultime gare di trail da sola, tediando i vicini su quanto fosse magnifico il panorama, mentre loro riuscivano a pensare solo a quanto fosse lento il numero che vedevano sul GPS.
Questa volta al mio fianco c’è Francesca. So che posso inondarla di commenti su quanto sono belli i tronchi degli alberi e sul raggio di sole inaspettato. So che probabilmente potrebbe anticiparmi.
So che con Francesca sarà un trail “para compartir”.
Sono le 6 del mattino a Ushuaia. Aspettiamo le navette che ci portano alla partenza. Fuori il buio è spettrale, vestito di pioggia mista a neve.
Siamo silenziose. Lei perchè ha paura, io perchè indovino nitidamente i suoi pensieri al sapore di ansia.
L’organizzazione ha tagliato il percorso eliminando il picco più alto, il Monte Olivia. La discesa sarebbe troppo pericolosa con la neve alta.
Una mezz’ora dopo arriviamo a Playa Larga. Siamo in tanti ad aspettare la partenza e ci osserviamo, gli uni gli altri. Mi preoccupa la mia giacca, perchè è impermeabile, ma quelle degli altri sono in Gore-Tex. Ad est chiarisce il cielo, finalmente. Facciamo due volte pipì tra i cespugli, frontale accesa per non sbagliare troppo mira e partire già umide.
Alle 7.28 riecheggiano i Vangelis. Questo è il via ufficiale di UTMB.
Non resisto e piango.
Piango sempre quando vedo partire UTMB, solo che questa volta parto io e piango anche a causa del pieno di incognite che ho in testa.
E se si scivola? E se ci si congelano le mani? E se il tendine di Fra fa male? E se la neve è troppa?
Quello che temo di più è di non riuscire a sorreggere Francesca.
Fulvio e Simona ci hanno scritto. Fulvio pensa che io abbia la forza di finire e di far finire lei. Io ho paura. So bene che io non mollerò, ma cosa farò se sarà lei a voler mollare?
Partiamo caute e troppo vestite. Ci spogliamo dopo poco rientrando nella coda della gara.
Siamo due podiste da strada, stare in coda non piace a nessuna delle due, ma accettiamo.
Avanziamo tra la gente, lentamente, tra un “ohhhh” e un “guarda che bello” che ci arriva alla bocca ogni trenta secondi circa. Assecondiamo la paura a suon di meraviglia.
I primi dieci chilometri passano rapidi, il sentiero è bello e non troppo difficile.
Poi inizia a nevicare.
Fitto, pesante e gelato.
La montagna diventa di zucchero e il cielo sbianca.
E’ tutto molto affascinante, ma io temo gli ultimi quindici chilometri, in cui il Cerro Medio ci porta a quasi 1000 metri.
Così penso alla “comida para compartir” e questo verbo mi perseguita. Compartir.
Esterno il mio pensiero e Francesca vi partecipa.
Insieme avanziamo. Ci teniamo per mano con i pensieri.
Quindici, diciassette, venti chilometri.
Spesso il fango ci fa scivolare, ma la vista è impareggiabile, fatata.
Condividiamo corsa e pensieri.
Al punto di ristoro del venticinquesimo arriviamo di buon umore. Io sono leggermente stanca e mangio abbondantemente.
Francesca si rilassa, anche troppo.
La strappo agli anacardi che tanto ama e ripartiamo.
Ventisettesimo chilometro e si sale.
Il sentiero si inerpica nel bosco sopra Ushuaia.
Forse non avrei dovuto mangiare così tanto al ristoro, perchè mi sento pesante. Nel trail ho imparato a mangiare, so che devo essere frequente, evitare i soli gel, prediligere ogni tanto un boccone asciutto, ma mi sentivo così fiacca dal freddo, prima, che forse ho esagerato.
Tra le due, in ogni caso, preferisco essere appesantita e avere energia che finire le scorte ora.
Il bosco è fitto e bello, ma la neve che cade imperterrita rende il fondo molle come sabbie mobili.
Francesca anche è un po’ più lenta di prima, le vedo nel suo silenzio, vedo che lo scoramento fa capolino troppo di frequente nei suoi pensieri.
Io non sono una persona materna, non le dico “poverina”, non la rassicuro. Preferisco giocare il ruolo della forte e restare in silenzio.
Così proseguiamo, senza troppo parlare.
Trentesimo chilometro, il bosco si apre ed è neve.
Solo neve.
Anche con i bastoncini scivolo. Fra non li ha ancora aperti e io rompo il mio silenzio granitico per rimproverarla. Me ne pento subito, perchè uno dei due bastoni non si fissa. Non li ha testati prima e ora è impacciata, per giunta con un solo bastone.
Ho paura.
Divento apprensiva, ma procedo lentamente.
Mi spiace sembrarle poco empatica, ma credo che la scelta migliore sia non starle troppo addosso.
Ci affianca Rodolfo con un sonoro “buongiorno Italia.” Gli chiedo di dov’è e mi dice orgoglioso che quella è casa sua.
Non so di cosa sia orgoglioso ora, perchè di bello non vedo niente. Non che non ce ne sia, è solo che non lo vedo perchè il vento forte mi sbatte la neve in faccia con violenza.
Gli chiedo se sta con noi e ci aiuta e lui accetta di farci da guida.
Mentre vediamo gli altri scivolare ogni metro sulla neve battuta dai passi precedenti, noi seguiamo Rodolfo per pendii illibati dal manto soffice che ci tiene in piedi.
Sono più tranquilla ora e lentamente scendiamo dai 900 metri del Cierro Medio sane e salve.
34 chilometri. Ne mancano nove e sono tutti di fango alto.
I piedi sono zuppi per cui non è bagnarci che ci importa, quanto non scivolare. Impariamo rapidamente a pattinare sul fango.
Francesca è un pochino indietro, la aspetto e vedo chiaramente che è stanca.
Lei che al massimo ha corso 21km in gara su strada, lei che è veloce e leggera, ora accusa la distanza e il terreno impossibile.
Le dico che è finita e infatti in un’ora circa di totale assenza di pensieri e bosco spuntiamo a Ushuaia.
Per le strade le macchine suonano il clacson, agli incroci la gente ci acclama “Andale chicas!”.
La prendo per mano. Avevamo deciso una specie di coreografia finale, ma in fondo ci viene solo da saltare.
Tre, due, uno, SALTO!
E passiamo il traguardo in 7 ore e 33 minuti (credo).
In mente una parola sola “compartir-compartir-compartir…”
La sera festeggiamo mangiando un piatto di granchio patagonico, tipico di qui, condito con frutti di mare e latte e una bottiglia di Malbec che a vagamente di tappo.
Non digerisco nulla, ma sono così felice che non mi importa niente.
Il giorno seguente albeggia con un sole tagliente sul cielo terso e noi ripartiamo verso il Cile.
L’ho letto e riletto e riletto e avrei un sacco di cose da scrivere ma non le riesco nemmeno a riassumere, per cui: che meraviglia di avventura! Grazie para compartir! 😍