Uyn Courmayeur Mont Blanc, il Vertical degli Eroi

Non uso mai questo sostantivo applicato ad una gara di corsa, “Eroi”.

Mi suona storto, strambo, inadatto. Penso agli Eroi, quelli veri, e mi sembra di far loro un torto.

Essere Eroi presuppone di far qualcosa di incredibilmente coraggioso, certo, ma per gli altri. Per un ideale. Per una missione.

Non si è Eroi per aver portato a termine una corsa.

Eppure, pensando a come definire questo vertical, la sola parola che continua a venirmi in mente è questa: Eroi.

Il Uyn Courmayeur Mont Blanc – tralascio il commento che mi viene sulle gare che portano il nome (difficilissimo) dello sponsor – è una gara speciale.

Il giorno prima mi ritrovo seduta al bar con l’amica Carmela Vergura, responsabile comunicazione dell’evento e instancabile aiutante polivalente, a parlare di questa gara così iconica. Siamo nel centro di Courmayeur, uno dei pochi paesi valdostani da cui mi tengo a leggera distanza causa “bella gente e ricchi aperitivi”, ma anche teatro delle più epiche imprese alpinistiche.

La prima Icona di questa gara è lui, il Monte Bianco.

Siamo ai suoi piedi, ai piedi della meta alpinistica più amata. Il Monte Bianco non è un’icona per qualcuno, come può essere la mia adorata Becca di Nona, o il Rocciamelone per i Torinesi. Il Monte Bianco è LA montagna. Il susseguirsi di eventi, ascensioni, tragedie, nuove vie su queste pareti ha scritto al storia della montagna. Copertine di riviste con volti segnati dall’altitudine su queste nevi, racconti epici di cadute e morti, libri, film.

La Uyn Courmayeur Mont Blanc parte dal centro del paese (1.246 msl) e sale, in un susseguirsi di curve quasi verticali, fino a Punta Helbronner (3.466 msl), passando esattamente sotto alla linea di salita della nuovissima SkyWay Monte Bianco, la funivia che permette anche ai turisti di apprezzare la maestosità del ghiacciaio.

La seconda icona della Uyn Courmayeur Mont Blanc è la sua storia.

Giunta alla sua quarta edizione, si può dire che è un evento recente. Ma la storia sta nel come è stata pensate. Gigi Riz è un signore dai capelli bianchi e dal corpo robusto, gli occhi ridenti e l’aspetto semplice. Maestro di sci da sempre, giardiniere in estate, è lui l’inventore di questa gara. “Perchè non andare di corsa da Courma alla cima di Punta Helbronner?” – dice una sera all’amico Massimo Domaine, proprietario del negozio di sport della via centrale, Les Pyramides.

Detto, fatto. Al quarto anno l’evento presenta tre gare, la mitica K2000, la “corta” in notturna, la K1000 e la KKids per tutti i ragazzi e bambini.

La terza icona sono i concorrenti.

Pur essendo una gara dal profilo altimetrico devastante, non vi partecipano solo i campioni. Anzi, pur ammirando i grandi campioni che questo sabato 4 agosto hanno dato spettacolo, non ve ne parlerò.

Voglio parlarvi degli altri, degli “ultimi”, di quelli che io considero veramente eroi.

Per intraprendere questa gara, per essere anche solo lì sotto e partire, ci va coraggio. I passaggi sono duri ed esposti, il paesaggio è lunare, l’ultimo tratto massacrante. Pensare di arrivare a Punta Helbronner dà le vertigini.

Invece sono lì e partono.

Ho detto che per essere eroi bisogna quantomeno essere coraggiosi per qualcosa. In questo caso, questi eroi, sono caraggiosi per un ideale.

Sono gli inconsapevoli portatori di un messaggio che per me è fondamentale: se vuoi veramente qualcosa, puoi ottenerlo con sacrificio e forza di volontà, resilienza e coraggio. Li vedo salire al Pavillon, il primo punto di ristoro, prendere il loro casco da alpinismo e continuare. I volti distrutti, gli occhi un po’ persi.

Poi li ritrovo sulla vertiginosa scaletta nel tratto finale.

Guardo i volti, cerco di fotografarli, captando uno sguardo tra casco, sudore e occhiali da sole.

Passano i “forti”, concentrati e imperterriti e finalmente arrivano le persone normali.

Passa Nadir che non mi vede, ma sorride, come suo solito.

Passa Fabiola, con tutta la sua tempra da neo Alpino, lo sguardo fisso davanti e la concentrazione incedibile. Passa Francesco, che non molla ma ha la stanchezza dietro agli occhiali da sole, che pur essendo specchiati lasciano intravvedere quella sottile aria di scoramento.

Ma sono comunque nella prima metà della classifica, sono “forti”. Io voglio vedere cosa trovo negli occhi di chi arriva dopo.

Passano tante ragazze, sorridenti e determinate, passa Emiliano che, irriverente, si mette in posa per la foto sulla scaletta, ma poi arrivano anche i ragazzi amputati di “Gambe in Spalla”. Vedo salire il primo concorrente amputato e subito non noto la protesi. E’ così sicuro di sè sulla scaletta di alluminio che mi pare impossibile manchi di un arto.

E invece possibile lo è. E dopo di lui molti altri concorrenti, accomunati dalla stessa triste caratteristica.

Non una esitazione. Non un ripensamento.

Vedo sfilare sulla scaletta persone di ogni genere, sesso, età e condizione fisica. Amanti coraggiosi dell’uguaglianza sportiva, anche quando di sicuro i tempi di arrivo non sono i medesimi. Mentre Nadir Maguet, vincitore in 1 ora e 41 minuti festeggia sulla terrazza in alto, ci sono ancora 300 dei 350 concorrenti che lottano contro crampi, altitudine, paura e pensieri negativi.

E’ a loro che va il mio applauso.

Perchè se vogliamo, possiamo. Lo dicono tutti, ma lo fanno in pochi.

L’anno prossimo sarò anche io al via.

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RunningCharlotte
RunningCharlotte
Perché la corsa è uno stile di vita e ad ogni passo ci fa crescere un po’ e perché non bisogna essere campioni per correre, basta mettere un passo dietro l’altro. Keep in running.
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