Weekend in solitaria: escursione ai rifugi Mezzalama e Guide d’Ayas
Come alcuni di voi sanno, io amo molto i viaggi in solitaria.
Il mio animo necessita a più riprese di partire e uscire dalla vita quotidiana con lunghi salti, preferibilmente da sola.
E’ così che ho organizzato la traversata della Corsica a piedi sul GR20 (puoi leggere qui tutte le tappe e l’attrezzatura usata), è così che ho vissuto la mia maratona meglio riuscita, la Maratona di Berlino 2018 (qui il racconto) ed è così che ho passato lo scorso weekend in montagna: meravigliosamente da sola.
Viaggiare soli: “ma non hai paura”?
Faccio questo rapido focus sulla paura, perchè è la domanda più frequente che mi viene posta: “ma non hai paura da sola?”.
La risposta è no, ovviamente, ma vorrei spiegare perchè.
Non sono un’incosciente, non lo sono mai stata: rispetto i limiti in auto, porto sempre con me un cambio asciutto, non mi ubriaco, cerco di evitare comportamenti deleteri.
Ma da sola non ho paura.
I motivi sono semplici e sono principalmente due. Il primo è di natura logica: quando viaggi da sola e ti guardi attorno, scoprirai che il mondo è pieno di persone amichevoli e disposte ad aiutarti. Da sola ho conosciuto amici che vedo tutt’oggi, da sola ho scambiato lunghe discussioni camminando, da sola ho condiviso pasti cotti davanti alla tenda. In pratica non sono mai sola.
Il secondo è un motivo personale: io non tollero di dover aver paura. Da quando esiste la storia, la donna è sempre vista come preda. Un fragile uccellino pronto a cadere nella trappola di malfattori, violentatori e streghe cattive. Siamo tutte cappuccetto rosso, pronte ad aspettare il cacciatore che ci difenda dal lupo, ma incapaci di discernere tra lupo e nonna. La storia ci vuole svampite “Che orecchie grandi che hai nonna!”, indifese, tremanti.
Io mi sento forte e indipendente e non sopporto di giocare il ruolo di cappuccetto rosso. Per cui parto, da sola, per assaporare la mia libertà. Con le orecchie ben attente e gli occhi aperti per imparare ad allontanare le persone poco raccomandabili. Seguo, anche in montagna, sentieri sempre battuti, avviso quando posso sulla mia posizione, avverto il rifugista del mio arrivo. Soprattutto uso un’attrezzatura consona per non essere sorpresa dagli eventi: impermeabile, calda, asciutta, scarpe con il giusto grip e cibo per sopravvivere.
Se poi, malauguratamente, dovessi farmi male… poteva succedere anche in compagnia. Sul sentiero qualcuno passerà o il rifugista si preoccuperà. (sto pensando di acquistare un trekker per segnalare la mia posizione in tempo reale, in ogni caso).
Basta avere paura, donne! Paura di correre al parco, paura di andare in montagna, paura di viaggiare. Sempre paura. Se aspettiamo sempre qualcuno con noi, faremo un terzo delle cose che amiamo.
La salita al Mezzalama
Arrivo a Saint Jacques alle 14.30, diluvia.
Stamane mi sono allenata duramente, per tenere fede al mio impegno verso la maratona e non avrei potuto arrivare prima. Posteggio l’auto chiedendo al bar un luogo sicuro per la notte. Bevo un caffè, mangio una pallina di gelato per tirarmi sù il morale visto il cattivo tempo. Indosso abiti più pesanti e inizio a camminare. Momentaneamente il cielo si rasserena.
Il meteo dava leggeri temporali, in effetti non sono acquazzoni. Il temporale più duro è a valle, qui arriva una pioggia sottile. Niente fulmini.
Inizio a salire nel bosco, dal quale scendono escursionisti fradici e incazzati. Scendono alla spicciolata come formiche che lasciano il formicaio appena incendiato. Sul volto hanno tutti la stessa espressione disperata: piove! Li saluto dal mio poncho gigante, che ricopre di gomma tutta la mia figura, testa e zaino compresi. Incontro una ragazza che mi conosce e che mi dice “lunga salire ora!”, come monito. Poteva aggiungere la parola “sola” e avrebbe completato il quadro.
Le mie gambe spingono veloci, incredibilmente non sento alcuna fatica. Quando esco dal bosco, il pianoro si apre e vedo i ghiacciaio. Come sono felice! Cammino spedita e in un’oretta raggiungo il Lago Blu, in cui si specchia il cielo cupo.
Mi fermo per una foto di rito. Ho energie da vendere, ma non voglio tardare. le ragazze che gestiscono il Mezzalama mi aspettano. Ricomincio quindi la salita, incontrando sempre meno frequentatori del sentiero. Dopo altri tre quarti d’ora circa un ragazzo mi chiede dove “cavolo” volessi andare a quell’ora. Continuo ad aggiungere a queste frasi la parola “sola” finale e sorrido della sua paura. E’ incredibile come chi incontro, non trovando paura nei miei occhi, abbia bisogno di mettercela autonomamente, quasi a spargere il sale sull’insalata.
Il cielo si apre, quasi improvvisamente. Il sole mi scalda e il mio cuore esplode per un attimo.
Sento tutta la gioia della libertà che mi invade e riparto rapida. Salgo forte, come non mi aspettavo di fare. Guardo in alto e vedo il rifugio. L’ultima salitella si fa sentire, siamo a 3.000 metri, ma sono troppo felice per fermarmi. Chi se ne importa della fatica? La fatica fa parte della vita. Mentre salgo un boato mi sorprende: dal fronte del ghiacciaio una grande massa di ghiaccio si stacca per rotolare nel canalone. Penso che la natura sia troppo più forte di noi per aver timore nel vivere.
Metto il piede al rifugio Mezzalama dopo 2h43 minuti di salita.
Foto davanti al rifugio e subito dentro a prendere posto.
Le ragazze del Mezzalama mi accolgono sorridendo. Mi danno una cuccetta stretta – tanto sono piccola – vicino alla finestra. Mi chiedono se ho bisogno di qualcosa e io ordino un quartino di vino rosso per festeggiare. Loro esultano della mia richiesta felice.
A tavola di siedono con me tre ragazzi sconosciuti, due in coppia e uno solo: Marco e Luca&Luca. La montagna ci rende fratelli, animali appartenenti allo stesso branco. Le differenze perdono di significato attorno al tavolo del rifugio. Mangiamo e beviamo, forse troppo.
La solitudine è un’invenzione tutta umana.
La notte mi sveglio a far pipì. Esco. Un’aria quasi mite mi accoglie e alzo lo sguardo. Il cielo pieno di stelle mi commuove e resto per mezz’ora in contemplazione. Ritornare a dormire ora sarebbe una perdita di tempo e di bellezza.
Dal Mezzalama al Rifugio Guide di Ayas
Nella mia idea iniziale avrei dovuto usare questo weekend per scrivere. Pensavo di restare sola per più tempo, a godere beatamente della vista.
Invece la mattina ci alziamo prima dell’alba. La sera abbiamo accarezzato l’idea di salire fino al rifugio Guide di Ayas, ai piedi del ghiacciaio.
Ci incamminiamo solo io e Marco, mentre gli altri due ragazzi, Luca&Luca, si godono la bellezza della calma.
La salita è ghiacciata e scivolosa e io sono animata da una forza che continua a stupire anche me. La morena del ghiacciaio sotto ai nostri piedi si intravvede tra le rocce e un sottile strato di verglas copre le pietre. Saliamo molto lentamente: il piede è incerto e la quota spezza i polmoni e fa battere il cuore.
Arriviamo al rifugio passando dall’ultimo tratto di corde e lasciamo libera l’emotività.
Di fronte a noi il Ghiacciaio di Verra apre le sue bocche agli alpinisti.
Abbiamo entrambi i lacrimoni. Due sconosciuti a 3.420 metri si abbracciano come amici. Due cuori commossi che fino a qualche ora prima abitavano la pianura padana. Ci sembra di aver raggiunto il K2.
Festeggiamo con un caffè e scendiamo.
Marco mi racconta il suo grande sogno di salire sulle vette del Monte Rosa, le stesse che ora ci guardano non così distanti.
Penso che al mondo le persone con grandi sogni siano fondamentali.
Scendiamo rapidi, io ho fretta di tornare a Torino e investire Massimo con i miei racconti entusiasti.
Ho una voglia di vivere che non riesco a trattenere, sono così felice di poter essere qui che lascio alle spalle ogni altro pensiero.
“Ma non hai paura, da sola’”.
“No”.